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Trovare l’equilibrio dentro di noi. Quattro chiacchiere con Manuela Chiarottino

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Come nasce questo libro? 

È nato durante il primo lockdown, dove, soprattutto come counselor, mi venivano portate piccole e grandi paure che impedivano di trovare e vivere anche quei piccoli momenti di felicità che tutti noi possiamo coltivare. Credo che non si debba vivere con la paura, anche perché una situazione di tensione continua finisce per inibire il corretto funzionamento del sistema immunitario. È necessario trovare dentro di noi un equilibrio che ci permetta di rimanere saldi contro le intemperie della vita.

Quando ha cominciato a scrivere? E perché? 

Scrivo da sempre, così come leggo da sempre. Quando ancora non ne ero capace fingevo di esserlo. La lettura mi ha permesso di conoscere nuovi aspetti della vita, trovare parti di me nei personaggi e sentirmi meno sola, evadere dalla realtà e viaggiare con la fantasia dove non potevo farlo realmente. Scrivere è un mezzo per dare sfogo alle mie emozioni, comunicare quello che ho dentro, far scoprire delle cose, ricambiando nel mio piccolo quello che ho avuto e ho da lettrice.

La felicità ci viene presentata come frutto di piccole conquiste quotidiane, ogni passo è un gradino verso l’alto in un mondo che ci mette continuamente alla prova. Quanto è importante crearsi un piccolo spazio di felicità nel nostro quotidiano? 

La felicità è spesso dipinta come qualcosa di astratto, di altisonante, impossibile da raggiungere, ma a volte è solo perché non riusciamo a riconoscerla né a coltivarla. Innanzi tutto, la felicità è diversa per ognuno di noi, per una madre può essere il sorriso di un figlio, per un bambino un gelato al cioccolato, per un innamorato ammirare un tramonto infuocato con chi si ama.

Può essere un riconoscimento sul lavoro, una torta venuta bene, la visione improvvisa dell’arcobaleno, quella pianta che dopo tanto cura è finalmente sbocciata nel giardino. Insomma, sono tante piccole cose, perché non credo sia possibile, e nemmeno utile, inseguire una felicità costante che sminuirebbe il suo valore, né qualcosa che non raggiungeremo mai.

Questo libro può essere considerato come un vero e proprio percorso terapeutico, una guida per il proprio personale percorso, o anche solo uno spunto per approfondire sé stessi tramite la scrittura. Come è stato conciliare la creazione di uno spazio di aiuto e cura con la sua passione? 

Ho voluto creare una guida sia per spiegare che per accompagnare il lettore o la lettrice alla scoperta del potere della scrittura, dando dei suggerimenti, dal diario alla lettera fino all’autobiografia, perché tornare al nostro passato, alla nostra storia familiare, può davvero rivelarci cose inaspettate.

Per questo ho lasciato delle pagine bianche da compilare. Suggerisco inoltre come far uscire da noi la poesia, una cosa che può fare anche chi non ha mai scritto una riga in vita sua e nella seconda parte ci sono consigli di scrittura creativa e curiosità sempre intorno al mondo dello scrivere.

Per me non è stato altro che un modo per fondere le mie passioni e trasferire degli input che potranno far nascere approfondimenti nella ricerca del sé così come nella voglia di scrivere qualcosa anche per gli altri.

Viviamo in un mondo troppo spesso incapace di incanalare le proprie emozioni, spesso emerge un vero e proprio analfabetismo emozionale, in cui tendiamo ad anestetizzarci per evitare di dare ascolto alle nostre sensazioni o malesseri, spesso c’è addirittura una difficoltà a riconoscerli. Quale potrebbe essere, secondo lei, la strada migliore da intraprendere per chi vuole cominciare ad ascoltarsi?

L’ascolto è difficile perché siamo abituati a un rumore costante in sottofondo, pensieri del quotidiano, rimpianti dal passato e preoccupazioni del futuro che invadono la nostra mente, pensate che sono tra i 60 mila e i 70 mila pensieri al giorno. A volte si ha paura di fermarsi e guardarsi dentro.

Nel libro scrivo qualche suggerimento, comunque un semplice esercizio, per chi non ha mai meditato, è mettersi comodi, chiudere gli occhi e ascoltare il battito del proprio cuore. Concentrarsi solo su quel suono. Lasciare scorrere i pensieri, senza badare a loro. Può aiutare una musica, seguire una meditazione registrata, ma il silenzio a volte è davvero l’unica cosa che serve. E poi aprire gli occhi, sentire se è cambiato qualcosa dentro di noi e, volendo, scrivere di getto le nostre emozioni

Ciò che traspare è una chiamata ad approfondire l’arte delle piccole cose, del riscoprirsi, del comunicare col proprio bambino interiore. Questo percorso l’ha già sperimentato su sé stessa? Se sì le va di condividere la sua esperienza? 

Ho seguito un percorso di tre anni come counselor e sto proseguendo, in parallelo alla scrittura, un percorso da operatore olistico, che inevitabilmente è prima personale e poi rivolto come aiuto verso gli altri. La scrittura stessa per me è stata terapeutica ed è per questo che ho voluto trasferire il concetto di come scrivere sia un modo per guardarsi dentro e dare un nome alle proprie emozioni là dove non si riesca con le parole, aiutandosi a superare le proprie difficoltà.

“Ognuno ha una favola dentro che non riesce a leggere da solo. Ha bisogno di qualcuno che con la meraviglia e l’incanto negli occhi, la legga e gliela racconti”. Pablo Neruda. Partendo da questa citazione ha parlato anche dell’aspetto creativo della fiaba, attraverso cui possiamo conoscerci e riconoscerci.

Crede che la società debba riscoprire questo aspetto, l’aspetto del mito, sia individuale che collettivo? Se sì come? In modo particolare durante il Romanticismo e con la raccolta Kinder-und Hausmärchen di Jacob e Wilhem Grimm esse assumono una valenza particolare come strumenti di “socializzazione” e di “politicizzazione” per le giovani generazioni.

L’articolo si propone di ricostruire le dinamiche di questo processo (con un occhio particolare alle “questioni di genere”), partendo da Cappuccetto Rosso e Biancaneve dei Grimm fino ad arrivare alle riletture contemporanee che ne hanno offerto alcuni autori europei, in particolar modo italiani, francesi e spagnoli. 

Le fiabe rappresentano da sempre degli strumenti di formazione per i bambini, essendo metafore della vita. È giusto che nelle fiabe chiunque possa sentirsi rappresentato, in modo da non sentirsi solo nell’affrontare difficoltà ed esperienze che fanno parte della crescita e dell’accettazione del sé. Nel counselor si può invitare il cliente a scrivere una fiaba quando non riesce a raccontare la propria esperienza e difficoltà, in modo che sia il personaggio a parlare per lui o lei. Ognuno di noi vive il suo personale viaggio dell’eroe, la chiamata può scattare in qualsiasi momento, quando dentro di noi si sente l’esigenza di affrontare il proprio disagio interiore, fino alla conquista di una nuova consapevolezza.

 In una società sempre più social, in cui ci si affida, nelle relazioni, alla scrittura dietro ad uno schermo, pensa che le difficoltà relazionali possano essere superate in questo modo? O rinforzate?

I social da una parte hanno permesso di comunicare a distanza e di liberarsi da un primo approccio fisico per alcuni difficoltoso, ma dall’altra hanno allontanato ancora di più le persone che a volte non riescono ad andare oltre o addirittura approfittano del mezzo per mostrarsi diversi da quello che si è e impedendosi così di farlo poi nella realtà. Non commento neppure i tristi casi dei fenomeni di bullismo da tastiera, non solo limitati ai ragazzi, purtroppo.

Come ogni cosa non è il mezzo ma l’uso che se ne fa, ritengo però che negli ultimi anni ci sia stato troppo abbandono da parte di alcuni genitori nel controllo, delegando quasi ai social, come alla televisione, il compito di far compagnia ai figli.

Scrivere su sé stessi è un po’ come guardarsi allo specchio, far prendere forma a qualcosa che spesso non sappiamo comunicare a parole, ma quanto invece dire a parole quello che si prova può essere deformato dai nostri schemi e credenze? 

Tutti abbiamo delle credenze che condizionano il nostro modo di interpretare i vari avvenimenti. Si sono formate innanzi tutto in famiglia e poi negli ambienti che abbiamo frequentato, nel luogo in cui viviamo, con gli studi seguiti. Ognuno di noi può percepire un evento in modi diversi in base a queste credenze, a questi modelli che abbiano costruito e che in un certo senso ci danno delle sicurezze, ma possono diventare limitanti. Ci sono anche convinzioni inconsce che non sappiamo nemmeno di avere, ma sono stata impiantate dentro di noi, nell’infanzia. Scegliere i nostri pensieri è un atto di potere e libertà, per raggiungerlo può aiutare come sempre un percorso di consapevolezza.

 Ci sono progetti in cantiere? 

Da poco è uscito un libro per bambini, “Napoleone”, dove parlo del personaggio storico attraverso delle curiosità e dove sottolineo il valore dell’amicizia, anche tra persone apparentemente opposte tra loro, perché non bisogna mai fermarsi ai preconcetti verso l’altro. Un nuovo romanzo intanto sta aspettando una data per la sua pubblicazione.

 

 

Ilaria Tizzano

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