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Non sprecare tempo. Intervista alla scrittrice Maria Mazzali

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 Come nasce la sua passione per la scrittura? E qual è stato il suo primo approccio con questa forma d’arte?

La mia passione per la scrittura nasce con me. Fin da piccola scrivevo poesie, lettere, biglietti e storie. Il primo approccio è stato quello di divorare libri e libri per esercitarmi, come mi disse la mia insegnante di lettere alle medie che aveva intuito la mia passione.
Cosa le ha donato scrivere? E cosa si propone di donare ai suoi lettori?
Scrivere mi dona piacere profondo, una sensazione di creare, di avere davanti una prateria dove correre e la possibilità di usare le parole come un pennello per descrivere quadri interni come un pittore. Mi dona l’opportunità di lasciare una traccia di me e del mio passaggio sul pianeta e della mia esperienza unica della vita. 
Ai lettori mi propongo di donare me stessa come testimone di emozioni, riflessioni, informazioni, esperienza, consigli, domande, provocazioni e dato il mio profilo umano e professionale, piccole perle di saggezza.
Come nascono i protagonisti? Ci sono aspetti autobiografici?
Prima nascono il contenuto e la trama che voglio seguire e poi i personaggi idonei alla loro realizzazione. Ci sono molti aspetti autobiografici ma al servizio dei contenuti esistenziali e psicoanalitici che voglio divulgare.
Quanto il suo lavoro di psichiatra e psicoterapeuta l’ha aiutata nel raccontare il mondo interiore dei suoi personaggi?
Il mio lavoro mi ha arricchita come Paperon de Paperoni, io ringrazio i miei pazienti ogni volta che scrivo per avermi lasciato tante storie e memorie. Penso sia facile immaginare quanto siano complementari questi mondi.
Questo romanzo è il sequel di “A più tardi”, ha in previsione una continuazione con un successivo lavoro?
Si, sto scrivendo il terzo libro che sarà pronto, spero, in autunno, ci sono già in ogni libro le anticipazioni di situazioni in divenire che vanno concluse. Era già un progetto iniziale di una trilogia. E non credo di smettere di scrivere ormai.
Ormai la realtà delle famiglie odierne si rispecchia molto con la realtà dei personaggi del suo libro. Qual è il messaggio che sente di inviare a chi si sente bloccato in una realtà che non gli appartiene?
Consiglio di non sprecare il proprio tempo, l’unico vero parametro esistenziale fondamentale, in un perenne stallo che fa perdere la vita  a noi stessi e a chi dipende da noi, la vita è un tempo dato di cui non si conosce la durata e deve essere vissuta, non solo trascorsa, come dice Tancredi a se stesso.
In caso il blocco fosse insuperabile, consiglio di chiedere aiuto. Entrano in gioco moltissimi fattori: sociali, intrapsichici, affettivi, economici, morali, etici, personali tra cui l’autostima, la considerazione di sé, le paure. Tutto questo peso enorme che ostacola i cambiamenti fa comprendere quanto sia difficile evolvere, ma una volta iniziato il percorso, è bene portarlo a termine, altrimenti si è distrutto senza costruire e ciò crea dolore, fallimento, sensi di colpa e la sensazione di aver sprecato il viaggio in questo mondo così complesso e magico allo stesso tempo.
Lo dice Valentina al suo analista quando accusa Tancredi di averla coinvolta senza la certezza un futuro sereno e solo la sua fuga a Parigi e la paura di perdere tutto costringono Tancredi a muoversi.
Altro tema molto discusso nel libro è il rapporto genitori e figli, i tentativi di alienazione, i sensi di colpa dei genitori e la gestione difficile di una situazione complicata per tutti. Spesso possiamo esprimere a parole fatti contraddetti poi dai comportamenti, un genitore insegna con l’esempio più che con qualunque altra parola. Quanto è difficile essere davvero sé stessi quando si ha la responsabilità della felicità di un figlio?
La ringrazio di queste preziose e profonde domande. Essere se stessi come genitori non è semplice da comprendere e tanto meno da attuare, ma il punto è che noi abbiamo la responsabilità di essere maestri di vita, non abbiamo la responsabilità della felicità dei nostri figli, ma di insegnare loro ad essere felici e questo è imprescindibile dalla nostra stessa felicità.
Detto questo è chiaro che bisogna rimanere felici di aver messo al mondo i nostri figli qualsiasi cosa accada al resto. I figli hanno bisogno del nostro amore e questo deve rimanere intatto e sempre presente. La vita non è sempre e solo felicità, negli ultimi decenni abbiamo perso la connotazione di genitori per diventare amici, mentre dovremmo essere amichevoli, la responsabilità di un genitore è insegnare ai figli a vivere in tutte le sue sfumature.
Poi mi rendo conto di andare contro  corrente e di risultare impopolare, ma si sopporta.
In uno stralcio del libro Lei scrive: “- Come era facile ingannare i bambini -, pensò Valentina, ma era per il loro bene. In fondo ogni figlio subiva il destino deciso per lui dai genitori, oltre a quello che riservava a ciascuno il proprio dato.” In diverse occasione nel libro ritorna questo tema: una bugia o un’omissione per il “bene” di qualcuno, cosa ne pensa dell’assumersi la responsabilità di decidere cosa davvero può o non può essere il bene di qualcuno?
In questo contesto la bugia ai bambini della presenza di Valentina viene smascherata da Federico quando dice “A me Valentina piace, papà, per me puoi fidanzarti”. E’ chiaro che creare un’occasione d’inganno a fin di bene per avere un ponte digeribile fa parte della delicatezza psicologica verso i bambini rispetto agli adulti e Valentina si pone per lo meno il dubbio etico, mentre è una prassi sociale più che consolidata nel trattare l’infanzia, vedi favole e tradizioni (ad es. babbo natale, Santa Lucia).
Per quanto riguarda l’omissione di Valentina sulla gravidanza il punto è molto più grave e l’ho usato come trucco narrativo perché l’inganno della gravidanza è stato usato per secoli dalle donne per incastrare un uomo e ottenere benefici economici e sociali. In questo caso invece era a protezione del legame a favore di una priorità che Valentina ha dato prima alla famiglia vecchia di Tancredi, perché aveva compreso la schizofrenia temporale del compagno tra il desiderio della nuova vita e gli ingombri della precedente.
Valentina decide come medico di non scioccare tutti con la sua presenza più forte di quella concessa dagli eventi. Mi rendo conto che è discutibile e osservabile da molte altre prospettive, ma essendo un romanzo e non un trattato, ho scelto storie accadute veramente durante la mia professione e che mettono in luce lati della mente non sempre comprensibili.
Valentina non ne parla come di una scelta per il bene di tutti, ma come di una paura più forte di lei di perdere tutto, perché i tempi non erano quelli giusti e come medico è consapevole che i tempi giusti sono imprescindibili al buon esito delle scelte. Anche i tempi devono maturare.
Poi accetto le critiche più svariate, il confronto, se costruttivo è sempre arricchente.
In un altro passo scrive a proposito della psicoanalisi : “Dice che la vera madre tesse l’arte di diventare inutile, per lasciare la responsabilità della propria vita ai figli e solo rinunciando al titolo i figli potranno diventare adulti”. Trovo questo concetto estremamente profondo, tanto quanto difficile da mettere davvero in pratica, siamo abituati a considerare i figli proprietà privata, ad asfissiare spesso le libertà di anime che hanno bisogno di autodeterminazione e di fare i propri passi nella vita. Cosa ne pensa in merito, come psichiatra e psicoanalista ma soprattutto nella sua esperienza di vita quotidiana?

Grazie anche per questa domanda, devo constatare con estrema soddisfazione che Lei  ha colto molti aspetti da me ritenuti importanti.  La madre inutile è un concetto chiave per la crescita e la maturazione dei figli. Il fatto di continuare a volersi mantenere indispensabili per i figli è un aspetto narcisistico, egoistico, dittatoriale del titolo di genitore.

Il rapporto genitore figlio, è un rapporto asimmetrico tutto a favore del genitore che dovrebbe garantire un lieto fine del patto dove il più forte darà il prima possibile lo scettro della propria vita al figlio di cui accudisce talenti e fragilità fino al compimento dell’età adulta. Ma se l’età adulta non viene mai autorizzata?

Se il creatore ritiene il figlio sempre bisognoso delle sue cure senza le quali non sarà in grado di sopravvivere o se la ottiene verrà minacciato d’essere ingrato o rifiutato? Tragedie tuttora in corso in molte famiglie italiane. Poi mi permetta una difesa dei nostri giovani ritenuti a torto dei bamboccioni perché vivono in una società che non prevede spazio lavorativo per loro.

E che società è quella che non prepara opportunità per i figli? Preferisce offenderli per coprire l’incapacità o peggio la volontà di  creare posti  di lavoro e futuri felici da vivere?

Ilaria Tizzano

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