Storie 

Intervista a Daniele Gattano “tra ironia e stereotipi vi parlo di omosessualità e del diritto dei disabili lgbt alla sessualità”

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Daniele Gattano è l’autore del video che con ironia ha raccontato la battaglia culturale degli lgbt disabili, per l’affermazione del loro diritto alla sessualità.

Le storie non devi cercarle, arrivano da sole, corrono di bocca in bocca, e quando te le trovi davanti, non puoi fare altro che raccontarle. La storia di oggi è quella di un artista, un video e delle storie che vi sono collegate, quelle di tante, troppe persone che si vedono calpestati i propri diritti.

L’artista è Daniele Gattano, attore, comico che si è fatto conoscere sul palco di Colorado e ora sta avendo successo in numerosi spettacoli teatrali. Il video è quello che potete guardare un po’ più in basso ed è stato girato in collaborazione con il gruppo Jump – Oltre Tutte Le Barriere e l’Associazione Culturale Nakìa. Racconta con straordinaria ironia un tema tabù, quello dell’omosessualità e della disabilità. Nell’immaginario comune si tende sempre a considerare le persone con disabilità come degli esseri asessuali, in realtà sono persone con una sessualità normalissima, sia etero che Lgbt. Il video affronta questa tema con un’intervista a Giuseppe, “ragazzo disabile e omosessuale”, che si racconta con naturalezza.

Attraverso l’intervista a Giuseppe, a Federica, a Pierluigi e l’attività del gruppo Jump –  Oltre Tutte Le Barriere, Daniele Gattano ha voluto raccontare proprio la storia di tante persone guardate con pregiudizio. Oggi vi voglio parlare proprio di loro, di Giuseppe e di tanti che quasi sono costretti a vivere in una campana di vetro, in cui l’amore e la sessualità sono visti come uno sfogo e non la possibilità di vivere una vita normale. Ve ne parlerò attraverso  Daniele e la sua vita.

Ecco a voi Daniele Gattano.

Prima però vi invito a guardare il video:

https://www.facebook.com/danielegattano.official/videos/1894370084129588/

Allora, iniziamo con una domanda strana, inusuale per un’intervista:

Chi sei e perché ti sto intervistando?

A parte gli scherzi, hai avuto successo con le apparizioni a Colorado, portando sul palco un tipo di comicità che ironizza sui gay e gli stereotipi, ma raccontati ai nostri lettori, chi è realmente Daniele Gattano?

Mi chiamo Daniele, ho 29 anni, sono piemontese di Verbania. Da circa tre anni ho iniziato a buttarmi sul palco e a parlare di me, partendo dal racconto del mio coming-out famigliare è nato un filone in cui parlo della mia omosessualità. A questo alterno il mestiere di attore: la mia prima grande passione! Mi piace leggere le biografie dei grandi pittori. Detesto le camminate in montagna. Il mio piatto forte è la cacio e pepe e ho un debole fortissimo per Chris Martin.

Ti ho conosciuto grazie al video che possiamo vedere all’inizio dell’articolo in cui parla Giuseppe, un ragazzo che un po’ rappresenta tutte quelle persone lgbt con disabilità. La storia è molto delicata ed è raccontata con grande ironia. Parlami di quel video, come nasce e con quali obiettivi?

Il video nasce quando Giuseppe dopo avermi visto a “Colorado” mi ha scritto su Facebook chiedendomi di ironizzare sul tema della disabilità. Tema che viene spesso trattato con eccesso di politically correct, che rischia di diventare inconsciamente discriminatorio. Gli ho detto subito di sì. Sono andato al “Cassero” di Bologna e ho conosciuto gli altri ragazzi del gruppo “Jump”, gruppo di persone lgbt con disabilità. Abbiamo parlato di sessualità e loro mi hanno subito detto: “noi persone con disabilità non abbiamo la sessualità dei bambini” e questo è stato scelto come tema cardine del video che ho proposto loro di girare.

Il video inizia con la presentazione di Giuseppe:

Ciao! Mi chiamo Giuseppe faccio parte di un gruppo di persone lgbt con disabilità: “Jump”. Ci occupiamo di rompere stereotipi in entrambi i mondi. Noi tutti pensiamo che si possa fare comicità sulla disabilità in modo che il mondo non veda più le persone con disabilità come asessuate.

Una battaglia culturale che coinvolge i disabili in generale. Come è stato accolto il video?

Il video è stato accolto molto bene. Immaginiamo una persona disabile e omosessuale che non ha fatto coming-out e vive in una piccola provincia italiana circondata da parenti e amici simpatizzanti di Adinolfi; questa persona apre Facebook, vede il video e scopre che a Bologna esiste un gruppo di persone lgbt come lui che può offrirgli un supporto e un confronto diretto. Diciamo che questo può emotivamente e psicologicamente regalare forza, ed è quello che sta succedendo.

Lo avete creato in collaborazione con l’associazione Nahìa e il gruppo Jump – oltre tutte le barriere, come nasce questa collaborazione?

Nahìa è un’associazione culturale che opera nel campo dell’arte. Ho contattato Edoardo Lomazzi chiedendogli di curare le riprese e lui il giorno in cui dovevamo girare si è presentato al “Cassero” con tutta la squadra al completo. Mi sono emozionato e ho pensato “bene! Qui si fa sul serio allora!”

Ti hanno già posto la domanda se è possibile ironizzare sulla disabilità omosessuale e visto il risultato, la risposta non può essere che positiva. Quanto è faticoso però trasmettere questo messaggio in un Paese come l’Italia?

Credo che ci siamo un po’ affezionati all’idea che l’Italia sia un Paese popolato da persone poco sveglie. Così non è. C’è sete di contenuti di approfondimento. Bisogna solo puntare sulla qualità e farla masticare alla massa. Questo corto ad esempio è riuscito a farsi spazio sul web tra le centinaia di video di gattini che miagolano e di palestrati che twerkano… un motivo ci sarà.

La tua comicità è incentrata sull’omosessualità e un po’ l’ironia sugli stereotipi. È difficile far ridere su questo tema senza correre il pericolo che gli stessi stereotipi ti travolgano?

Io sono del parere che gli stereotipi abbiano un loro valore. Nel mondo omosessuale si vuole spesso prendere le distanze ad esempio dall’effeminatezza, quasi fosse una vergogna. Questo crea omofobia all’interno del mondo omosessuale stesso. Più che abbattere un certo tipo di stereotipi bisognerebbe farli accettare. Vorrei vivere in un Paese in cui un ragazzo può andare in giro e sculettare vestito di rosa senza che nessuno lo commenti con battute scontate. Io sono gay e non seguo il calcio, da bambino avevo una Barbie tutta mia e amo i film di Almodovar… devo sentirmi libero di raccontarlo al grande pubblico senza essere accusato di calcare lo stereotipo. Questo sono io.

https://www.facebook.com/iGentlemendiGrindr/videos/743326835836778/

 

Quanto ci pensi prima di scrivere un monologo?

Un testo di cinque minuti può raggiungere una sua compiutezza anche dopo un anno. Mi piace scrivere cercando parole ed immagini evocative. A volte sento termini e suoni di parole stranissimi che mi appunto sul cellulare. È un lavoro che ti porta a osservare tutto e a restituirlo in una chiave talmente personale e soggettiva da diventare comica.

Parlaci della tua carriera teatrale.

Ho iniziato a studiare teatro a 16 anni, a 18 ho frequentato la Scuola del Teatro Stabile di Genova anche se mi sono diplomato alla Galante Garrone di Bologna. Il primo ruolo che ho interpretato è stata una delle mie più grandi fortune: “Jago” poi altri spettacoli fino a quest’ultimo: Le Scoperte Geografiche di Marco Morana per la regia di Virginia Franchi. In scena siamo io e Michele Balducci, abbiamo appena concluso le date a Roma torneremo in scena a Novembre a Milano.

Come vedi la situazione in Italia dei diritti Lgbt? Cosa pensi del riconoscimento da parte della Corte d’Appello di Trento della possibilità che due genitori gay possano essere considerati padri di due bambini nati all’estero grazie a maternità surrogata?

La politica italiana non fa da giusto specchio al volere dei suoi cittadini; e a testimoniarlo ci sono le foto delle piazze gremite a favore del ddl Cirinnà. Il tema della maternità surrogata va analizzato da più punti di vista, penso che una donna abbia il diritto di fare ciò che vuole del suo corpo, penso che due persone dello stesso sesso possano essere ottimi genitori, ma ho una riserva circa il delicato rapporto umano che si deve costruire tra madre biologica e figlio… sicuramente va legiferata.

E delle polemiche sorte?

Il discorso genitorialità è sempre strumentalizzato per attaccare il popolo lgbt. Ad esempio una manifestazione come quella del Family day ha basato buona parte della sua campagna proprio sui bambini e la stepchild adoption non è passata: se non è strumentalizzare questo!

Non per rovinarti l’umore, ti cito Vittorio Sgarbi:

“Due ‘genitori’ maschi, omosessuali, non fanno una mamma. E soprattutto non fanno un figlio. È il suo diritto, di lui che non ha chiesto di venire al mondo, che va tutelato, non l’arbitrio di due egoisti che si fingono una famiglia senza la madre. Egoismo, violenza, crudeltà. Immaginate Gesú con due Giuseppe senza Maria”.

Te ne evito altre, cosa risponderesti a Sgarbi?

Gli direi che ci sono studi fatti da psicologi che affermano il contrario, oltre a testimonianze dirette di bambini cresciuti con amore da persone dello stesso sesso. Poi gli chiederei di parlarmi un po’ di Caravaggio che è la cosa che dovrebbe limitarsi a fare…

Daniele Maisto
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