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Natale: Il verde dell’Umanità

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Dopo due anni di assoluto buio, con il Covid ancora alle porte, il Natale è diventato ancor di più il momento migliore dell’anno, quel momento in cui il calore del fuoco non può battere quello delle persone. Si sa che il Natale è la festa per eccellenza delle famiglie: quindi ci si riunisce, si festeggia e si mangia; ci si abbraccia, ci si scambiano i regali e si apre il prosecco. 

Ma se non tutti vedessero il Natale come la festa tradizionale che per molti anni è passata nelle nostre case? Mi sono interrogata per anni su quale fosse il modo migliore per non far notare la mia stranezza: famiglia di ristoratori, quindi nessuna festività, nessun orario normale, nerd che non faceva altro che leggere e, beh, grassa.  Ero quella strana e avevo il terrore di farlo notare, quindi preferivo nascondermi nell’indifferenza senza veli, piuttosto che in un sorriso di cortesia. 

Questo per me ha portato un Natale non comune, seppur sempre presente: ad esempio, non andavo a letto alle nove perché così Babbo Natale arrivava prima, ma andavo a letto alle due, con già sotto l’albero i regali (e io ci provavo tutte le volte a convincere mia madre che la mezzanotte era già passata, quindi potevamo già aprire i regali, ma niente); non festeggiavo a casa intorno al tavolo, almeno per molti anni è stato così, ma al ristorante, magari nel cucinotto, con la mamma che insegnava cose che non ho mai appreso; a Capodanno stringevo la mano a sconosciuti che avevo finito di servire dieci minuti prima. 

Insomma, non ho mai avuto una famiglia che passasse il Natale in modo tradizionale, ma nel corso degli anni ho sempre visto una corsa verso la normalità quasi, anzi che dico?, esageratamente estenuante, e questo mi ha fatto arrivare a una rivelazione: il Natale è bellissimo, tra regali, luci, addobbi, golfini orribili e spintoni tra fratelli, ma poi quando finite il teatrino, in mano , cosa vi rimane davvero? 

Quindi ora vi chiedo: il Natale è per tutti?

Basti pensare che in realtà, il Natale è una festa pagana, non cristiana: io da questo punto di vista ho sempre pensato di non poterla praticare non essendo credente nel Dio della Chiesa, e invece mi sbagliavo.  Il Natale si esprime con mille colori, non in bianco e nero, come le televisioni di una volta.  Il Natale si può festeggiare in diversi modi, luoghi e in diversi momenti, purché a festeggiarlo sia sempre una famiglia che si vuole bene, di qualsiasi genere, colore, forma. 

E allora mi chiedo: perché così tanta ipocrisia e così tanto dolore, fuori dalle mura di questa festività?  Per due anni interi siamo stati costretti a stare lontani gli uni dagli altri, col freddo che raggiungeva le ossa e le mura che isolavano le stanze della nostra anima. 

Quando arrivava Natale, ci lasciavamo andare a un sospiro di sollievo se al momento del pranzo nessuno mancava e se questo accadeva intorno alla tavola e non intorno a dei computer, a distanza. Ci siamo ripromessi di essere diversi, più tolleranti, più buoni, più “Vaffanculo, senza le persone non ha senso tutto ciò, quindi coltiviamole”, e invece, ancora una volta, abbiamo amaramente fallito. 

Abbiamo fallito, perché per me non accettare un figlio solo per il suo orientamento sessuale, non è un traguardo. 

Abbiamo fallito perché non accettare le adozioni per le famiglie arcobaleno e vederle costrette a spendere soldi, che potrebbero andare per l’università del figlio, per andare all’estero, non è un traguardo.  

Abbiamo fallito perché non accettare che due donne o due uomini si bacino al tramonto, con amore, non è un traguardo. 

Abbiamo fallito come esseri umani, perché per me vedere un figlio, un fratello, un padre tornare a casa col viso gonfio di botte e la testa gonfia di paura, non è un traguardo. 

Ve lo richiedo: il Natale è per tutti?  Secondo la società no, secondo me sì. 

Il Natale è per tutti, per le famiglie arcobaleno, per le famiglie tradizionali, per le famiglie kinky, per le famiglie con sangue diverso.  Non è, però, per le persone che continuano a fingere di accettare: “Ci credi? Lui è andato con un uomo! Ma non lo sto mica dicendo perché è andato con un uomo, stai calma. Ti scaldi sempre.”

Non è per le persone che fingono di sapere: “Guarda che l’HIV si può trasmettere anche bevendo dallo stesso bicchiere”.

Non è per le persone che fingono di comprendere: “So chi sono i “finocchi”, non sono mica nato ieri. Li accetto”. 

Non è per le persone che fingono di amare “Ti voglio bene, basta che non ti innamori di me, che non sono di quella sponda”. 

Non è per chi non ama il Natale e basta, che non è così strano, non è come bestemmiare, perché è la varietà che ci dipinge, e va benissimo anche così. 

Nonostante ciò, le persone fingono, ma creano lo stesso gli alberi di Natale: gli allargano le braccia, li colorano con gli stessi colori dell’arcobaleno; li riempiono di fiori, di stelle, di speranze; lo adornano di ricordi, di canzoni e di luci; rischiano di cadere, per infilare la stella più bella sulla punta e quando scendono, si allontanano soddisfatti, guardandolo, senza accorgersi che hanno appena abbracciato e adornato il mondo.

Mi era stato chiesto di creare una rubrica e l’ho fatto, perché voglio rappresentare tutti noi, i diversi, gli emarginati, i non voluti, come l’essenziale.  Io ho sempre odiato fingere, ma per un periodo della mia vita, con la paura che nessuno mi volesse, l’ho fatto: ho amato le persone sbagliate e mi ci sono anche macchiata di un amore malato. 

Ora ho capito che fingere non serve proprio a niente e che il Natale passa lo stesso, una volta l’anno, l’albero viene decorato e i regali vengono scambiati E alla resa dei conti, quando alla sera di Natale il buio riflette tutta la casa, tutto il mondo, l’unico angolo di luce è proprio in quella cucina, salotto o soffitto (per i gatti): il verde dell’umanità viene illuminato da milioni di luci che, guardate un po ‘, sono tutte diverse tra loro, ma tutte perfettamente in sintonia.

 

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