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Rompere in caso di emergenza. Intervista allo scrittore Nello Cassese

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Per il nuovo appuntamento con la mia rubrica “Parole D’Autore” ho intervistato Nello Cassese, un giovane autore emergente che, con il suo romanzo d’esordio “Rompere in caso di emergenza” edito da Amazon Publishing, vuole presentare al grande pubblico un romanzo molto intimo e introspettivo dove, attraverso le sue parole, tutti possono rispecchiarsi.

TRAMA

Siete mai entrati in crisi? Non c’è mai una soluzione ideale per uscirne ma ci sono piccoli accorgimenti che possono aiutare. E’ così che nasce “Rompere in caso di emergenza”, il libro d’esordio di Nello Cassese. In nove normali giorni della vita di un uomo vicino ai 30 anni viene scandito il racconto di nove anni di carriera da giornalista. Tutto comincia con un problema sentimentale: una “tempesta” di pensieri, un malessere interno senza palliativo, uno stimolo a correre alla parete, dove ci sono le teche con su scritto Rompere in caso di emergenza e prendere da una di esse un cuore nuovo.

Ma dopo la sofferenza sopraggiunge, insperata ma inevitabile, la presa di coscienza che si può andare avanti senza forzare il futuro e il viaggio continua, seppur in burrasca. Ogni giorno diventa un capitolo e ogni capitolo è un mix di storie vere, sentimenti, ragionamenti, pensieri, considerazioni: un mare in cui navigano tantissime persone, di ogni età, in una storia da scoprire, immergendosi totalmente. 90 pagine da leggere tutte d’un fiato.

 

Nello Cassese
Nello Cassese

 “Rompere in caso di emergenza” è un romanzo autobiografico, introspettivo, un romanzo dove racconti la normalità della tua vita quotidiana tra lavoro, famiglia e le tante difficoltà che si incontrano in ogni ambito. Dove hai trovato l’ispirazione per questo titolo?

L’ispirazione mi è arrivata durante la scrittura. Non so bene cosa mi sia scattato ma ad un tratto ho pensato “Quanto sarebbe bello disattivare questo cuore sofferente e prenderne uno nuovo?”, e allora ho pensato a quando in situazioni di emergenza si corre alle pareti a prendere l’estintore, lì dove c’è scritto ROMPERE IN CASO DI EMERGENZA, e mi è nata questa metafora alla base del titolo.

 

I momenti di crisi non sono soltanto momenti di paura, di panico, di dolore e sofferenza ma sono anche dei momenti costruttivi, dei momenti dove ci si assume la responsabilità di aver sbagliato. Da questi momenti di crisi che hai vissuto cosa hai imparato?

Ho imparato prima di tutto a conoscermi meglio. E’ fondamentale accettare le proprie debolezze e i propri difetti perchè solo così si può migliorare e crescere. Ho imparato poi che non tutto è sotto il mio controllo e che ci sono fasi della vita in cui bisogna solo adeguarsi e rispondere, senza ragionare troppo su cosa sarà il futuro. E’ difficile per un carattere come il mio però mi sento di dire che mi piace questa parte della mia personalità che ho scoperto.

 

Molte persone provano vergogna nel sentirsi deboli, nel mostrare le proprie fragilità e stati d’animo. È stato difficile esternare le tue emozioni e condividerle con tutti?

E’ sicuramente dura mettersi a nudo emotivamente però io ho valutato che mi avrebbe fatto più bene che male e allora mi sono lanciato, sia dal punto di vista emotivo che lavorativo. Alla fine credo di non dovermi pentire di nulla, anzi mi sono ritrovato in un mondo nuovo che sto imparando a fare mio e ad apprezzare. Spero che questo mio progetto arrivi in maniera chiara ai lettori, non ho nessuna intenzione di apparire come un superbo professore che vuole mettersi in mostra o insegnare la vita agli altri. Spero che questo libro sia davvero di tutti e che tutti possano sentirsi in qualche modo meno soli leggendolo.

 

Un altro importante aspetto che si percepisce nel romanzo è il forte amore e la soddisfazione per il tuo lavoro, per le interviste che conduci e i problemi che porti alla visione di tutti grazie ai tuoi articoli. Parlaci un po’ del tuo lavoro, cosa significa per te e che importanza ha?

Fare il giornalista è un po’ come fare il dottore. E’ difficile, vieni sempre criticato ma vedi il tuo lavoro come una missione e senti che anche quando stacchi ti porti a casa il lavoro, in ogni momento e in ogni luogo. Per me è stato facilissimo scegliere questa strada, credo molto nel rispetto della storia e nel concetto di verità. E’ vero che ognuno tende a dare la sua visione della realtà in ogni situazione ma io cerco di essere quanto più onesto e reale possibile. Ho due “clienti” a cui devo mostrare rispetto totale: i miei lettori e la mia coscienza. Dal punto di vista qualitativo-tecnico, prediligo i reportage, sono quelli più complicati ma anche quelli che ti danno più soddisfazione e che offrono alla gente la panoramica più ampia e corretta.

C’è qualche piccolo estratto del romanzo che hai condiviso e racconto al grande pubblico con maggior trasporto? Non so una persona che hai intervistato, un evento che hai raccontato

Sicuramente il racconto della morte di mia zia. E’ stato uno dei momenti in cui nella mia famiglia ci siamo sentiti molto uniti, anche se per anni eravamo rimasti un po’ slacciati, diciamo così. E poi, credo, sia la perfetta sintesi della struttura del mio libro. C’è tutto: amore, famiglia, sofferenza, felicità nelle piccole cose, la tragedia sanitaria della Terra dei Fuochi.

Attraverso questo libro, attraverso le tue parole permetti al lettore di entrare a gamba tesa nella tua vita, in poche parole tutte le persone con questo romanzo conoscono i tuoi problemi personali, i tuoi conflitti familiari e i tuoi amori finiti, cose di te molto intime oserei dire quindi, partendo da questo punto, ti chiedo, ti sei mai pentito di aver scritto questo libro e di aver raccontato molto di te e della tua vita?

Come detto prima e in più occasioni, no, non mi sono pentito di quello che ho fatto. Ho sentito che se non fossi stato realmente spontaneo e vero non avrei potuto raccontare la mia storia in maniera efficace. Chi legge la mia storia e ha necessità di empatizzare deve sapere la verità, nel bene e nel male. E poi, è proprio questo il messaggio del libro: normalizzare la vita, nelle sue sofferenze, nelle sue assenze, presenze, insoddisfazioni, successi, felicità, tristezze, gioie, dubbi, e quindi non sarebbe stata la scelta giusta mascherare qualcosa.

C’é stato un’articolo, tra quelli che hai raccontato in questo libro, che hai avuto difficoltà a portare a termine perché troppo doloroso? O perché ti sei troppo immedesimato nei problemi delle persone intervistate?

Difficoltà nel vero senso della parola no, perchè, per fortuna o sfortuna, questo lavoro mi ha regalato una buona dose di freddezza. Certo è però che quando racconti, anche se devi essere imparziale, per forza di cose ti fai trasportare. In ogni reportage mi sono tenuto cose dentro, anche quando a telecamere spente qualcuno piangeva nel raccontarmi delle cose, ma la situazione che sicuramente più mi ha colpito è stata quella della morte improvvisa di una mia amica in un incidente stradale. E’ stata dura il giorno dopo scrivere la notizia della sua morte senza apparire troppo coinvolto. In fin dei conti, mi ero sentito con lei fino alla notte precedente e il giorno dopo mi stavo ritrovando a scrivere della sua morte…

Nell’epilogo del romanzo dici “Non scappate dai momenti di crisi. Trovate un’arma per mandarli fanculo”. Tu hai trovato quest’arma? Hai imparato a non scappare dai momenti di crisi ma, al contrario, ad affrontarli?

Ho trovato un’arma, che è stata la scrittura e questo libro. Non sono scappato, li ho affrontati a non so se li ho sconfitti ma posso sicuramente dire che ho imparato a fare un’altra cosa: a conviverci.

Ultima domanda. Progetti per il futuro?

Tanti, molti sono già in atto. Mi piacerebbe un giorno costruire un network di informazioni con tutti i canali comunicativi, sia quelli tradizionali che quelli moderni. Ora però sto ancora seminando, non so bene cosa farò in futuro ma sono convinto che se uno ci crede non ha nulla da rimproverarsi e, forse, alla fine qualcosa la ottiene.

Romy

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