Daniele Ancarani e Fabio AlibrandiStorie 

Once Upon a Time…Daniele Ancarani e Fabio Alibrandi

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A Febbraio, durante il mese dell’amore mi è stato chiesto di raccontare una storia, una storia che potesse emozionare, che potesse far battere il cuore, ma non solo.
Si inizia fin da piccoli con le favole dei grandi libroni che la mamma ti mette in mano, che si leggono con la lucina soffusa, sperando che i pensieri possano prendere vita. Poi si diventa più grandi e si passa alle favole Disney, quelle in cui il principe bacia la principessa e quest’ultima si risveglia da un lungo sonno, con il gran finale del “vissero per sempre felici e contenti”.

Il tempo passa e la fantasia continua a lavorare in maniera frenetica, senza sosta, finché il mondo di internet non prende il sopravvento e non fa altro che aumentare la voglia di trovare qualcuno ma, attenzione, questa non è tutta la realtà, perché esiste, in effetti, quel piccolo universo parallelo in cui le cose sono diversamente normali dal classico.

Io, ad esempio, fin da piccola, ho sempre cercato la variante che rendesse unico qualcosa, ho sempre cercato di creare un finale, di una fiaba, diverso, che rendesse comunque i protagonisti “felici e contenti” e ciò son riuscita a trovarlo, fortunamente, ammirando il mondo con occhi diversi, con occhi che sanno vedere, oltre che guardare. Voglio dar voce al rovescio della medaglia, a quelle variazioni che non sono mai state raccontate nelle favole, a quelle storie bellissime che sono rimaste all’oscuro, nonostante piene di sentimento. Voglio renderle importanti e simboliche, perché l’amore non sempre lo si trova nelle case in cui, in apparenza, va tutto bene. L’amore non ha regole, non ha manuale e solo chi riesce a capire ciò ha già vinto in partenza, perché il mondo non ha bisogno d’altro che di questo: amore, in qualunque forma esso si presenti.

Così ho scelto voi due, perché credo abbiano molte cose in comune con i personaggi delle mie fiabe, quei personaggi che lottano per trovare la propria libertà, non quella altrui.
Non voglio fare come fosse un’intervista vera, in realtà. Vorrei che lei si sentisse libero di parlare della vostra storia finché ne ha voglia, finché le dita sulla tastiera non si consumino dalla troppa emozione. Vorrei che ora, lei, mi raccontasse dal principio come è andata, senza limiti di tempo, di spazio, come dovrebbe essere l’amore, in fondo: senza limiti.

“Parlare della mia storia è sempre come mettersi a nudo, ne vedo i successi ma anche le cadute, gli entusiasmi e le disillusioni. Iniziai a disegnare scarpe nei primi anni ’80 per aziende bolognesi, allora patria delle calzature; le aziende erano: Buccheri, Bruno Magli, Di Sandro. Erano anni in cui l’Italia nel mondo era un vero riferimento, il “Made in Italy” era una certezza assoluta di qualità e di pregiate lavorazioni.

Il mio carattere curioso mi fece spaziare dal disegno alla vendita. Non mi interessava il disegno fine a se stesso, ma volevo confrontarmi con i giudizi dei clienti, se quello che veniva pensato e disegnato avesse anche un valore commerciale. Iniziai così a viaggiare, a conoscere mercati stranieri oltre a quello italiano, a capire quali fossero le problematiche e le esigenze dei negozianti.
Poi nel 2001 decisi di fare un’esperienza nuova: aprire una boutique nel cuore della mia città: Bologna.
Desideravo per la mia piccola boutique qualcosa di particolare e inusuale, quindi inserii marchi come Pura Lopez (di cui poi diventai distributore per l’Italia), Philippe Model, Ernesto Esposito, Edmundo Castillo, Pedro Garcia, Arche.
Presto mi resi conto che paesi come Spagna e Francia confezionavano prodotti di eccellenza al pari di quelli italiani.
La formula della boutique funzionò e negli anni a seguire ne vennero aperte ancora altre a Bologna, poi Modena, Milano, Perugia, Termoli e Parigi.
Continuavo nel frattempo a fare consulenze commerciali per Sigerson Morrison e per le vendite di Di Sandro.
Tuttavia, sia dai nostri punti vendita che dagli altri negozi che anche presentavano marchi di buon livello mancava la “scarpa di servizio”.
Che cos’era questa scarpa di servizio che tutti chiedevano? Cos’era questa collezione che avrebbe potuto avere una buona collocazione nel mercato? Gli elementi erano questi:
-Buon prezzo
-Facile da calzare e da abbinare
-Comoda
-Femminile ma non ostentatamente femminile
-Pretty
Mi ci buttai a capofitto. Nacque così, un po’ per caso e un po’ per provare a rispondere a questa richiesta, la collezione DANIELE ANCARANI.
Ne uscì una collezione un po’ buffa, colorata, morbida per via degli elastici e la lavorazione “Bologna” a sacchetto.
Il gusto era un po’ rétro, io disegnando le scarpe pensavo alla mia zia zitella, perché ne amavo la discrezione e il buon gusto non ostentato.
Iniziammo a vendere in Italia e all’estero. Fu un piccolo successo.
Un successo di anni che correva parallelo con le aperture di negozi nostri e in franchising.
Per l’apertura del negozio di Parigi vennero selezionati due ragazzi italiani, uno di questi si chiamava Fabio Alibrandi, siciliano di origine e amante di viaggi e, chiaramente, delle scarpe.
Ne nacque un’amicizia vera.
La forte espansione fece aumentare le assunzioni, i costi, la mole del lavoro… e le preoccupazioni.
Non ultime le paure date dalle oscillazioni di un mercato che incominciava ad entrare in una crisi profonda.
Nel 2014 fu necessaria una forte e decisa ristrutturazione che in un qualche modo coinvolse quel ragazzo siciliano conosciuto anni prima, che si propose di intervenire nella società.
Quella che era una bella amicizia si andava via via trasformando in un sentimento ben più profondo e articolato. Era amore dell’uno verso l’altro, entusiasmo di due persone che stavano intraprendendo un percorso insieme.
Questa unione produsse una nuova energia, come ci piace dire, ci portò ad una nuova vita, compresa l’apertura di un altro punto vendita a Catania e nel prossimo aprile un successivo a Roma.
La frase “L’unione fa la forza” è vera e se a questa viene aggiunto amore, passione e condivisione, io penso a noi due, e alla nostra vita attuale che ci porta in giro per il mondo, a contatto con gli artigiani che producono le nostre scarpe, con i clienti che col tempo sono diventati amici e confidenti. La nostra è una grande famiglia allargata, che come tutte le famiglie condivide le preoccupazioni e le gioie.”
C’era una volta un ragazzo che amava le scarpe, che amava un ragazzo, che amava viaggiare. Insieme viaggiavano, incontravano gente di tante nazionalità, culture, età diverse.
I due crescevano insieme, cercavano di capirsi e di conoscere gli altri. Questa è diventata la loro vita, vagabonda e senza fissa dimora, sempre in città diverse con persone e cose diverse. Ma a loro piaceva.. si sentivano sempre a casa, perchè quando erano insieme, era “casa” ovunque essi fossero.”

 

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