Episodio Cinque: Nulla d’importante tranne i sogni. Intervista alla scrittrice Rosalia Messina
Moleskine, penna, agenda, smartphone. Ho tutto pronto già da qualche giorno ma, non so perché, ho sempre quella sensazione strana di aver dimenticato qualcosa, ma cosa? Sarà capitato sicuramente anche a voi che in questo momento avete la pazienza di leggere i miei scleri di questo piccolo spazio personale che amo condividere con chi ama leggere come me e conoscere storie interessanti. Avrei dovuto incontrare su Skype la persona che oggi vado a intervistare via mail, ma per motivi di tempo, di impegni e problemi personali va bene così. Avere risposte su mie curiosità anche in questo modo è importante e oltremodo stimolante, non pensate? Leggere un libro, incontrarne l’autore e farci quattro chiacchiere, abbattendo quella parete tra scrittore, musicista, artista e appassionato, fan, curioso.
Citando una saga letteraria fantasy si potrebbe dire che “L’inverno sta arrivando”, ma in realtà è già arrivato e si è presentato con il suo freddo “cit..come comanda Iddio”, quindi mi preparo una buona tazza di thè allo zenzero e limone e ci metto una puntina di miele che mi piace sempre tanto, è un toccasana.
Che sbadato, quando inizio a vaneggiare, a parlare e a perdermi nei pensieri vado oltre. Vi racconto una cosa: qualche mese fa mi arriva il comunicato stampa di questo libro dalla mia amica e collega giornalista Francesca Ghezzani: Nulla di importante tranne i sogni, della scrittrice Rosalia Messina, edito da Arkadia Editore nella collana Eclypse. Amo l’arte e la fotografia e l’immagine di questa giovane donna in copertina è davvero bellissima, piena di mistero e sofferenza, leggo la trama (che vi metto prima dell’intervista) e mi dico…: “Ok! Devo assolutamente leggerlo e devo conoscere l’autrice”. Per cui concordo con Francesca la possibilità di ricevere copia cartacea del libro e non appena mi arriva mi prendo il mio tempo per leggerlo e farlo mio. Posso dirvi solamente di averlo trovato meraviglioso e intenso, ma non vi svelerò di più perché lo scoprirete attraverso l’intervista.
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Rosamaria Mortillaro, detta Ro, nota scrittrice siciliana, ha un rapporto altalenante e complicato con la sorella Annapaola, detta Nana, dalla quale cerca di farsi perdonare tutto ciò che ha avuto in più dalla sorte. Nana ogni tanto crea le condizioni per un allontanamento e rende difficili le riconciliazioni. Il filo usurato e più volte riannodato finisce per spezzarsi in modo irreparabile a causa di un banale contrasto innescato da Nana, a seguito del quale Ro decide, con dolorosa lucidità, di volersi sottrarre al gioco delle tregue e dei conflitti. Quando scopre di essere ammalata e di non poter sperare in un recupero della salute, Ro, provata anche dalla fine improvvisa dell’unico amore dal quale si è lasciata davvero coinvolgere, si isola nella sua villa nei pressi di Acireale in compagnia dell’amica e segretaria Anita Attanasio. Qui comincia a progettare la sua vendetta contro la sorella e la figlia di lei, Giada. Inizia così un percorso grottesco e per certi tratti singolare che farà emergere un mondo di contrasti ma anche di sentimenti che riveleranno, finalmente, l’autentica natura di Rosamaria. [/trama]
Comunque bando alle ciance… come vi ho già anticipato, l’intervista è asincrona, per cui ciò che leggerete ora rispetta come sono state inviate le domande e come son arrivate le risposte. Ma so benissimo che lo adorerete.
Carissima Rosalia, posso darle del tu? In caso contrario cambierò tutte le mie domande successive con il voi. Innanzitutto grazie mille davvero per il tempo che mi stai dedicando. Ma cosa più importante di tutte, come stai?
Va benissimo il tu, lo preferisco e di solito sono io stessa a proporlo. Sto abbastanza bene, grazie, ho avuto un periodo complicato dal quale non sono ancora del tutto uscita; devo dire che la promozione del nuovo romanzo, Nulla d’importante tranne i sogni, mi è servita a tirarmi su il più possibile. Tu come stai?
Parole e uova devono essere maneggiate con cura. Una volta rotte sono impossibili da riparare. [ Anne Sexton, Le Parole ]
Penso che sia un ottimo punto da dove partire con le domande, da questa frase che hai inserito nel tuo libro per chiederti una cosa che interessa più me che a soddisfare i lettori, una domanda che magari ti sarai già sentita porre mille volte. Quanto è difficile aver a che fare con le parole?
Domanda molto bella. Con le parole si comunicano pensieri e sentimenti. Con le parole si creano opere d’arte e di scienza. Con le parole si scrivono documenti ufficiali, trattati di pace, dichiarazioni di guerra, atti notarili, testamenti, diari, lettere d’amore, lettere minatorie, denunce anonime, verbali di polizia. Le parole possono essere ingannevoli, possono essere persuasive, possono ferire o consolare. E quelle che ho enumerato sono solo una parte minuscola delle cose che si potrebbero dire intorno alle parole. Quindi, cercando di tirare le fila del discorso, la mia risposta è: maneggiare le parole è difficilissimo, perché possono essere tanto arma distruttiva quanto strumento salvifico e il confine tra le due utilizzazioni è talvolta labile.
Per citare il grande Massimo Troisi in Ricomincio da Tre (o per fare i più chic per citare Michel de Montaigne): “Chi parte sa da che cosa fugge ma non sa che cosa cerca”. Nelle prime pagine del libro mi è piaciuta molto la conversazione che Ro ha con Anita riguardo i motivi che l’hanno spinta a ritornare in Sicilia dalla Spagna e Anita le confida che è rimasta qui a Catania per vigliaccheria e debolezza piuttosto che ritornare in Spagna o andare altrove. Ti sei mai ritrovata nella tua vita a sentirti come Anita, cioè sospesa, bloccata in un luogo senza riuscire a muoverti o a sentirti libera?
Premetto che Ro e Anita hanno atteggiamenti in apparenza antitetici sulla questione del cosa fare quando ci si sente sospesi in un luogo (o in una situazione). In realtà, a ben guardare, anche Ro si è lasciata intrappolare dai suoi sensi di colpa in una relazione malsana con la sorella. Venendo alla specifica tua domanda, Giacomo, la risposta è sì, mi è capitato di sentirmi prigioniera di un ruolo o di una situazione e, non molti anni fa, anche della città in cui vivevo e che sprofondava nel suo degrado.
Però non assomiglio in questo ad Anita, che sento vicina solo per alcuni tratti della sua personalità. Anita è generosa e tollerante (io sono buona solo con chi è buono con me), è leale nei confronti dell’amica Ro (la lealtà è un tratto che mi riconosco), è capace di crescere, di mettersi in discussione, di riconoscere i suoi limiti e di sforzarsi di superarli (in questo a volte riesco e a volte no). Ma torno alla domanda: le situazioni in cui non sono a mio agio mi spingono al cambiamento.
A volte per girare pagina non è necessario spostarsi in senso geografico, può essere sufficiente mutare atteggiamento, allontanarsi dalle relazioni tossiche, trovare spazi di benessere. Per me la scrittura ha rappresentato anche questo: la possibilità di esprimere una parte di me che nella mia vita professionale era sacrificata. Mi è accaduto anche di trovare nei miei personaggi e nelle loro vicende le risposte a domande fondamentali. Quanto all’essere o sentirsi bloccati in un luogo, ho già accennato al fatto che la Sicilia, che pure amo moltissimo, era diventata per me, a un certo punto, una realtà opprimente, in cui non mi ritrovavo più. E appena è stato possibile sono andata via.
Libertà. Parliamo di Ro, di Rosamaria Mortillaro, della grande scrittrice e della grande donna. Onestamente l’ho trovato un personaggio stupendo, a tratti spigoloso ma ciò che me lo ha fatto amare è stato il suo senso di libertà e appagamento, di debolezza e di forza, di gentilezza e cattiveria. Sembrerà una domanda banale e per questo te ne chiedo scusa, ma mi piacerebbe sapere quanto c’è di Ro in Rosalia Messina e quanto sia stato eventualmente facile o difficile raccontare questa donna così risoluta ma che ha sofferto.
La domanda è tutt’altro che banale. Provo a rispondere.
Ro è una versione per certi aspetti estremizzata di alcuni, limitati tratti del mio carattere, mentre per altri aspetti è una versione idealizzata (insomma, assomiglia alla donna che vorrei essere). Ho spigoli che con l’età ho imparato a smussare, anche se ogni tanto vengono fuori in tutta la loro durezza.
Sono determinata come Ro ma non ho mai pensato di sacrificare la mia dimensione affettiva e personale alla scrittura; non ho ancora saputo stabilire, però, se si tratti di un pregio o di un difetto. Non mi interessa vendicarmi per un torto, non serve, il male ricevuto non si cancella, non si ripara restituendolo. Piuttosto, come Ro, ho un forte bisogno di giustizia ma mi accontento di riconoscere a ciascuno il suo, di saper vedere nel prossimo e nel suo operato il bene e il male, di non dimenticare il primo e di non sopportare passivamente il secondo. L’idea di giustizia che coltivo è molto semplice e si riassume in una massima antica: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere, insegnamento del giurista Triboniano (VI secolo d.C.). Vivere in modo onesto, non arrecare danno ad altri, dare a ciascuno ciò che gli spetta è una ricetta semplice che siamo bravissimi a complicare con i nostri distinguo.
Non è stato difficile raccontare Ro. Lei, Nana, Anita, Giada e Fosco (i figli di Anita), Marika (moglie di Fosco) mi si sono delineati nell’immaginazione così come poi li ritroviamo nelle pagine del romanzo. Ne avevo ben chiare dall’inizio le personalità come pure le interazioni fra loro; poi si sono man mano aggiunti alcuni personaggi secondari che sono figli di minore ispirazione e maggiore studio. I personaggi secondari, secondo me, danno più spessore alla storia e alla sua verosimiglianza, perché la vita è fatta di pochi momenti nel bene e nel male indimenticabili e di molta quotidianità. Ecco, una ben dosata quotidianità (sempre secondo me) è un ingrediente necessario di ogni storia; mi viene in mente il teatro di Eduardo De Filippo, in cui i personaggi secondari contribuiscono a dare alla trama il suo inconfondibile sapore napoletano ed eduardiano.
Le vicende che narro in Nulla d’importante tranne i sogni non sono straordinarie, sono cose che possono accadere a chiunque, che accadono ogni giorno. Quello che voglio dire è che scrivo attingendo a quello che so della vita, non al mio vissuto. È solo in via mediata che dalle storie che racconto mi arriva, qualche volta, la risposta a una domanda che non ero ancora riuscita a trovare.
La cosa più preziosa che puoi ricevere da chi ami è il suo tempo.
Non sono le parole, non sono i fiori, i regali. È il tempo.
Perché quello non torna indietro e quello che ha dato a te è solo tuo, non importa se è stata un’ora o una vita.
(David Grossman)
Il tempo. Quanto ne dedichiamo in realtà alle persone che amiamo? O quanto ne dedichiamo a noi stessi? Nel libro il fattore tempo è molto presente, soprattutto quando Ro riceve una notizia che la destabilizza e che cambia in quel momento tutto. Ro si rende conto che ciò che le viene concesso è abbastanza per mettere a posto le sue cose. E vendicarsi con la sorella Nana e con i nipoti. Faccio una considerazione ad “alta voce”: non so, onestamente, cosa farei se mi arrivasse quella notizia, non so se mi vendicherei di qualcuno, se caccerei tutto fuori per sentirmi meglio e pulirmi la coscienza, anche se farebbe del male a chi mi sta accanto. Nella serie tv After Life ad un certo punto Ricky Gervais si rende conto che forse comportarsi male con gli altri perché è venuta a mancare la sua àncora, sua moglie, non è un buon modo di vivere. Non sarebbe forse meglio comportarsi davvero bene con il tempo che ci viene concesso?
Domanda difficile, soprattutto se riferita all’uso che Ro fa del tempo quando si rende conto della finitezza della vita. Tutti sappiamo che la vita finisce (e non mi addentro nel tema davvero complesso e spinoso del “dopo”, dell’esistenza di una vita ulteriore che segue “ma secondo alcune filosofie anche precede” la vita terrena). Però è solo quando il tempo stringe che si diventa davvero consapevoli del fatto che la morte fa parte della vita ed è una soglia che siamo obbligati ad attraversare senza sapere cosa ci attende.
Per rispondere alla domanda, mi limito a dire che in questo Ro è lontanissima da me. Nei momenti più complicati della mia esistenza sotto il profilo della salute ho avuto voglia di stare soltanto con le persone che più amo e dalle quali mi sento amata. Dei rapporti opachi, tiepidi e dalle mezze tinte non so che farmene (in generale e a maggior ragione nei momenti in cui il tempo sembra farsi stretto e pertanto prezioso). Le malattie importanti mi hanno insegnato a tagliare i rami secchi, a non sprecare le occasioni con le chiacchiere di circostanza, con le relazioni basate sull’ipocrisia, sulla convenienza. Ecco, così io intendo il “comportarsi bene nel tempo concesso”. Riappropriarsi della sfera più intima di se stessi. Stare con chi ci ispira il sorriso, la gentilezza, la confidenza. Uno “stare con gli altri” dal quale è bandita ogni fatica, che consente anche un felice tacersi accanto, grati e appagati della reciproca vicinanza, del puro esistere dell’altra, dell’altro.
Sorelle. Fratelli. Famiglie, con storie, con un inizio e una fine. Storie di gioia, storie di dolore, storie di sofferenze e di litigi. C’è stato un periodo nella mia vita con un lungo intervallo di cose sottintese, cose nascoste, parole non dette o forse parole dette nel momento e nel modo sbagliati. Nel libro, nella tua storia, ci sono Ro e Nana. Loro due con persone di contorno, ma la storia è di loro due, del loro rapporto, di cose avute allo stesso modo, di affetto ricevuto allo stesso modo o diversamente e di talento. E di soldi, di eredità, di testamenti, di cose pretese. Io ho provato, onestamente, molto “dolore” nel leggere tanta acredine tra queste due sorelle. Senza voler entrare nella tua vita personale, dal punto di vista delle emozioni è stata dura scrivere di questo rapporto? Soprattutto quando scrivevi le lettere nel libro?
Ro e Nana sono due personaggi di fantasia nei quali si condensano alcune caratteristiche che ho avuto modo di osservare in molte relazioni familiari. Chi inventa storie osserva e ascolta perché non può farne a meno, come non può fare a meno di costruire storie anche quando non scrive. Almeno, è quello che accade a me, che ogni tanto mi dico: smettila di girarti un film in testa solo perché hai colto un dettaglio oppure hai orecchiato una conversazione e subito l’immaginazione è partita al galoppo e hai fabbricato tutta una storia, un prima e un dopo quel dettaglio, quella conversazione, con intorno un drappello di personaggi.
Per tornare al tema, mi è capitato spesso di notare che le relazioni familiari sono talvolta avvelenate da acredine più o meno tenuta a bada, da battute feroci dette con il tono scherzoso e lo sguardo maligno, da interminabili liti ereditarie, da invidie malcelate, da gelosie, da ingiustizie genitoriali reali o immaginarie che si lasciano dietro uno strascico di risentimento, di astio. È un tema che mi ha sempre affascinato e che ho voluto esplorare scrivendone. No, non è stato doloroso, per me non è mai doloroso scrivere; scrivere significa far vivere quell’immaginazione che, come dicevo prima, parte a briglia sciolta da un dettaglio che ai più passa inosservato o appare insignificante.
Per quanto riguarda le lettere, ho attinto alla mia predilezione per la comunicazione scritta: quando voglio esprimere qualcosa che per me è davvero importante preferisco scriverla. C’è da dire, inoltre, che amo i romanzi epistolari, nei quali la storia è raccontata direttamente dai protagonisti attraverso lo scambio di missive. C’è da dire un’altra cosa: se è vero che mentre scrivo obbedisco solo alla necessità interiore di raccontare la storia che ho in mente, è altrettanto vero che mi porto dietro il fascino di due famosi romanzi epistolari che mi entusiasmarono quando li lessi, giovanissima: I dolori del giovane Werther di Goethe e Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos. I libri che leggiamo, la musica che ascoltiamo, i film che vediamo influenzano, almeno nella mia esperienza, il nostro modo di scrivere e anche la scelta dei temi che trattiamo.
“L’unica cosa di cui davvero ti sia mai importato: scrivere, scrivere, scrivere”. Essere Rosamaria Mortillaro, la famosa scrittrice catanese. Questa è una delle cose che Nana dice spesso a Ro. Cosa è davvero importante per Rosalia Messina e quanto avere le attenzioni del vasto pubblico condiziona la tua vita personale.
Mi piacerebbe, naturalmente, essere letta da molte persone, essere tradotta in altre lingue, vedere i miei romanzi prendere vita sullo schermo: mi sembra naturale sognare il successo, se così non fosse perché pubblicare ciò che scrivo? La mia vita cammina però anche e soprattutto su altri binari, l’affetto per mio figlio, le poche amicizie che considero davvero importanti e profonde, la lettura, il cinema. Sì, sono a mia volta una lettrice appassionata e dedico molto del mio tempo alla lettura, a volte alla rilettura di libri che ho amato.
Grazie mille ancora, Rosalia, per avermi dedicato del tempo e per aver scritto questo libro che, ripeto, mi è davvero piaciuto tanto. Con la speranza di leggere qualcosa di nuovo quanto prima, ti saluto cordialmente.
Giacomo
Grazie a te, Giacomo, per aver letto Nulla d’importante tranne i sogni e per le belle domande che mi hanno spinta a interrogarmi su me stessa e sul processo creativo da cui è nato il romanzo. Lo sguardo di chi legge illumina aspetti della mia scrittura che spesso mi sorprendono. Non sempre sono consapevole di tutto il materiale che ha contribuito alla costruzione della storia e dei personaggi; sono le diverse letture che mi vengono proposte a chiarirmi la genesi di alcuni aspetti che davo per scontati senza conoscere il percorso sottostante (vogliamo dire la parte inconscia del percorso? E diciamolo, magari è una sciocchezza che uno studioso della psiche casserebbe, ma azzardo lo stesso e “se mi sbaglio mi corrigerete”).
Per quanto riguarda il futuro, posso dirti che ho già inviato all’editore un altro manoscritto che spero diventi un libro e mi auguro possa piacerti. Un caro saluto.
Rosalia