VinGustando Campania, Il gusto e la tradizione napoletana durante il pranzo pasquale.

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Come tutti sanno, la data di Pasqua cambia di anno in anno. Ma se il giorno può cambiare, a Napoli, le tradizioni gastronomiche e le pietanze sono sempre le stesse.

Il pranzo pasquale inizia con la tipica “fellata”. Cos’è la FellataLa Fellata è un semplice antipasto di affettati misti. Il termine deriva da “fella”, parola napoletana che indica la fetta. Appunto, tutti i salumi sono presentati tagliati a fettine più o meno sottili. Protagonisti del piatto il salame napoletano e il capocollo, seguiti da ricotta salata, provolone e uova sode. In alcune zone del casertano vedrete comparire sulla tavola anche la mozzarella di bufala. Ma certamente non può mancare il celebre “casatiello”, un cestino di pasta di pane a forma di ciambella. Il termine di questo piatto deriva dalla parola “caso”, che in dialetto napoletano vuol dire formaggio, e richiama la cospicua presenza di questo ingrediente all’interno del rustico. Molti mangiano anche il Tortano, ma vi è  differenza tra Casatiello e Tortano? Si, ed è bene definire questa differenza. Nel Casatiello le uova sono inserite per intero, con il guscio, a metà tra l’impasto e l’esterno, ricoperte da una croce di pasta. La forma del “casatiello” richiama la corona di spine alla quale fu costretto Gesù. Le uova ricoperte da una croce simboleggiano, invece, la resurrezione di Cristo che rinasce dopo la crocifissione. Il “tortano” presenta gli stessi ingredienti del compagno pasquale, senza però avere le uova disposte in semi superficie. Quest’ultime sono sbucciate, tagliate e inserite all’interno del rustico. Il pranzo prosegue con la “minestra maritata”. Il nome deriva dal fatto che gli ingredienti, la carne e le verdure miste come cicoria, scarole, verza e borragine, si sposano, ovvero si cuociono insieme creando un unico sapore. Si arriva poi all’agnello con i piselli al forno, oppure arrostito. Nella tradizione cristiana questo animale simboleggia il sacrificio di Gesù che  “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello.”  Per concludere questo pranzo luculliano è d’obbligo il dolce tipico pasquale … Sua Maestà la Pastiera. Che ha un significato mistico: La farina, simbolo di forza della campagna; la ricotta, tesoro dei pastori; le uova, che simboleggiano il ciclo della vita ; il grano bollito nel latte, simboli della natura; l’acqua di fiori d’arancio, per ricordare i profumi della terra; le spezie, come la cannella, in rappresentanza dei popoli lontani; lo zucchero, che ricorda la dolcezza del canto della sirena. Esiste una leggenda circa l’origine della pastiera legata alla sirena Partenope. I napoletani per ringraziare la meravigliosa creatura per il canto  melodioso con cui allietava le loro giornate, incaricarono sette fanciulle di consegnarle i doni della natura. La Sirena consegnò i doni agli Dei che mescolarono gli ingredienti dando vita alla Pastiera Napoletana. Ricordando le tre T”Tipicita, tradizione e Territorio” , durante questo pranzo, dobbiamo abbinare vini rossi campani (Piedirosso, Aglianico, e, Taurasi, finendo con un buon passito rosso di aglianico  ) serviti a temperatura di cantina, ricordando la scaletta di mescita …dal meno alcolico al più alcolico, finendo con il passito sarà una Pasqua memorabile. Vi auguro una serena Pasqua e vi saluto con questa poesia scritta da un anonimo:

A Napule regnava Ferdinando
ca passava e’ jurnate zompettiando;
mentr’ invece a’ mugliera, ‘Onna Teresa,
steva sempe arraggiata c’ ‘a faccia appesa
o’ musso luongo, nun redeva maje,
comm’avesse passate tanta guaje.
Nù bellu juorno Amelia, a’ cammeriera
le dicette: “Maestà, chest’è ‘a Pastiera.
Piace ‘e ffemmene, all’uommene e ‘e ccriature:
uova, ricotta, grano, e acqua de’ sciure,
‘mpastata insieme ‘o zucchero e ‘a farina
‘a può purtà nnanz o’Rre: e pur’ a Rigina”.
Maria Teresa facett a’ faccia brutta:
mastecanno, diceva: “E ‘o Paraviso!”
e le scappava pure o’ pizz’a riso.
Allora o’ Rre dicette: “E che marina!
Pe fa ridere a te, ce vò a Pastiera?
Moglie mia, viena ccà, damme n’abbraccio!
Chistu dolce te piace eh? E mò c’ ‘o saccio
ordino al cuoco che a partir d’adesso,
stà pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere ha dda passà n’at’ anno!”

Giovanni De Silva

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