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Come curare l’ansia? Usare il potere della parola come paracetamolo

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Una nota stonata fuori dal coro.

Spesso ci sentiamo così, come un assolo rock nel bel mezzo di una sinfonia di Beethoven.
Accade perché chiamano “imperfezioni” quei modi di fare che non si adattano alle aspettative altrui: sono quelle caratteristiche che gli altri dipingono come “stranezze”, “pazzia”, “confusione”, “essere fuori dal mondo” e chi sa quante altre.

“Ma che palle” lo possiamo dire?

Le chiamano imperfezioni solo perché nascono da un termine di paragone standard, completamente inventato, che quando viene descritto la frase si chiude spesso con “è così che si fa”. Ma secondo chi? Ce lo chiediamo?

La perfezione non esiste! È un buco nero che risucchia pezzo dopo pezzo le parti più belle della nostra personalità. È perdizione. E nel perdersi a favore di una chimera, smontiamo a pezzi quello che resta della parte più vera di noi. Allora arriva l’ansia, poi l’attacco di panico, a volte la tristezza che, con una lungimiranza senza uguali, non fanno altro che segnalarci un disagio.

Accendono un allarme: “pericolo al benessere!” e, come la febbre, tentano di difenderci.

Ci avete mai pensato? L’ansia arriva in buona fede a segnalare qualcosa: una parte di noi sta nascosta ancora dietro gli angoli del nascondino di anni e anni fa; un’altra parte sta gareggiando per una maratona di cui non conosce la meta; un’altra ancora è su un diretto senza fermate.

Da psicologa, mi sento spesso chiedere come fare per spegnere l’ansia. Onestamente, mi chiedo anche io se esiste o meno un interruttore da qualche parte. Ma come la febbre fa il suo decorso per ripulire l’organismo, l’ansia ha bisogno del suo tempo per riassestare il cuore e, con esso, la mente.

L’unica differenza è che la febbre necessita di paracetamolo, l’ansia di un farmaco speciale: la cura della parola.

 

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