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Le fate e gli angeli esistono, nonostante la realtà di certe favole.

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Ci sono favole che non racconteremmo mai ai nostri bambini: troppo truci, violenti, tristi. O semplicemente troppo vere.
Quando la intervistai lo scorso ottobre, Suor Rosemary Nyirumbe insisteva nel ripetermi di quanto fosse importante che la storia delle bambine-soldato dell’Uganda fosse raccontata al mondo intero, affinché non solo si prendesse coscienza delle atrocità di cui l’uomo è capace, ma che si agisse perché certi crimini non si ripetano.
Ha una voce sorridente mentre parla, un tono pacato e pieno di speranza, la stessa speranza che insegna a cucire alle giovani allieve della scuola di sartoria di Santa Monica. Non sono fanciulle in età da marito, mandate a studiare le regole del galateo da perfette donnine di casa. Sono le bambine-soldato, le assassine, le madri dei figli di Kony. Sono bambine a cui è stata rubata l’infanzia e l’innocenza, strappata dalla furia e dal fanatismo religioso del Lord Resistance Army, l’Esercito di Resistenza del Signore, fondato da Joseph Kony in Uganda, negli anni ’80.
Uomini senza senno si intrufolavano nella pace domestica di piccoli villaggi al confine col Congo, seminando terrore, spargendo sangue. Reclutavano le bambine, rendendole assassine e schiave sessuali. Alcune di loro riuscirono a fuggire e a far ritorno nei villaggi, ma la gente rifiutava loro e i loro figli.

Molte hanno trovato rifugio tra le mura della scuola di Santa Monica. Suor Rosemary era appena diventata direttrice della scuola e, pur conoscendo gli atroci fatti che insanguinavano l’Uganda, non pensava di trovarsi difronte il frutto di tale orrore. Faceva i conti con un edificio carente, fondi scarsi e delle allievi con gravi difficoltà comunicative e cognitive. Cercava di instaurare un rapporto di fiducia, ma era difficile dal momento che le ragazze non la guardavano neanche negli occhi.

È per via della polvere da sparo che mi ha rovinato la vista, se non riesco a guardarti negli occhi, Suor Rosemary, le confidò finalmente un giorno Jewel. E fu così che Suor Rosemary capì che queste donne avevano bisogno di un insegnamento pratico, non teorico. Erano state strappate alla scuola sin dai primi anni di formazione, alcune di loro non avevano nemmeno le basi scolastiche. Ha insegnato loro il taglio e il cucito, l’attività culinaria. Le ha portate con se al mercato, in mezzo alla gente che le rifiutava, perché erano state le “bambine soldato”. Hanno imparato a farsi accettare, a farsi amare. Grazie alla scuola di sartoria hanno trovato lavoro. Alcune di loro sono diventate bravissime sarte.
Gli orrori che sono state costrette a commettere fanno parte di un atroce passato che deve essere cancellato dalle loro vite. Queste ragazze devono credere di nuovo nel futuro, ritrovare la speranza, che fu loro strappata nel cuore della notte da un esercito di uomini.
Quel che colpisce della sua attività è la ricreazione delle caratteristiche che siamo abituati ad attribuire ad una donna, “angelo del focolare domestico”, affinché il loro ex ruolo di “soldatesse”, ruolo che invece attribuiamo all’uomo, venga cancellato per sempre. In Occidente le donne predicano da decine di anni la parità dei sessi, nella storia delle ragazze di Gulu, invece, quel che è importante è ritrovare il loro ruolo di madri.
Le ragazze di Gulu non sanno di essere donne, di essere madri. Loro vivono il passato come una colpa. Suor Rosemary si impegna affinché capiscano che non hanno colpa di quel che hanno commesso. E si impegna affinché la comunità impari ad accettarle, a comprendere che non sono pericolose, che i loro figli non sono pericolosi. Le ragazze rifiutano i loro bambini, perché rappresentano il ricordo costante degli anni nella foresta. Suor Rosemary insegna loro a tirar fuori quello che è insito in ogni donna: la maternità!
Sharon, tra quelle che faticano di più a liberarsi del passato, le ha raccontato che mai potrà essere perdonata, perché ha ucciso la sua sorellina, la notte che i ribelli l’avevano rapita insieme agli altri fratelli. Non riuscendo a guadare il fiume con la bambina in collo, uno dei soldati (diventato poi il suo usurpatore) la costrinse a fare a pezzi la sorellina. E Sharon vive col terrore di quelle immagini. Sharon ha tre figli avuti dal suo usurpatore. Sharon, come le altre, ha bisogno che qualcuno le insegni ad amare i suoi figli, un amore che è insito nella natura femminile, ma che queste donne hanno dimenticato di avere.
“Sewing the hope” è l’associazione che si occupa di promuovere l’attività di taglio e cucito della scuola di Santa Monica. Le ragazze, utilizzando materiale di scarto, come le linguette delle lattine, creano delle bellissime borse, acquistate anche da alcune star di Hollywood. Innanzitutto, non è beneficenza: la realizzazione delle borse è un vero e proprio lavoro per le ragazze, con cui si guadagnano lo stipendio. Per questo le borse hanno un costo abbastanza alto. Quel che suor Rosemary ripete sempre è che loro non chiedono l’elemosina, ma di essere ricompensate per il lavoro svolto. Infatti, incoraggia le ragazze a fare dei prodotti di qualità, che abbiano un giusto valore di mercato.
Poi, dietro la realizzazione delle borse, si nasconde la metafora del “ricucire la speranza”. Utilizzano materiali di scarto, che sono anche di aiuto per l’ambiente, per creare dei prodotti bellissimi. Ed ogni volta dietro una nuova borsa rinasce la nuova donna che l’ha creata. Queste ragazze sono arrivate alla Santa Monica che si sentivano finite, inutile. Spazzatura insomma. Con la pazienza, l’amore e la dedizione hanno imparato a ricucire se stesse e a risplendere.

Come le borsette metalliche e luccicanti che producono.
Ci sono favole che andrebbero raccontate più di altre, perché la realtà non è una scarpetta persa a mezzanotte. Per fare dei nostri bambini uomini di pace è importante che si scontrino con l’atrocità della storia e che imparino che le fate e gli angeli esistono, basta volerlo essere.

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