La notte prima degli esami (che non finiscono mai)
C’è un’Italia intera, ogni giugno, che trattiene il fiato. Una nazione che si ferma, per un attimo, davanti alla soglia di una notte antica, la notte prima degli esami. È un rito laico, popolare, quasi religioso. Non importa quanto sia cambiato il mondo là fuori, se TikTok o le note su Spotify abbiano sostituito i walkman o le cuffiette dell’iPod, c’è sempre una generazione che in queste ore sente l’eco di quel battito nel petto, quella tremarella che non è solo ansia: è una promessa.
Ma questo editoriale non è per loro. O, almeno, non solo.
Questo è per quelli che quella notte l’hanno già vissuta.
Quelli che avrebbero voluto viverla meglio.
È per chi ha fatto la maturità senza sentircisi dentro, magari stanco, deluso, in anticipo sulla vita o in ritardo su se stesso.
Per chi ha passato la notte prima degli esami tra i libri e l’ansia, dimenticando che era, più di ogni altra, una notte da ricordare.
Per chi aveva 19 anni ma già troppe responsabilità, per chi aveva il cuore spezzato o la testa altrove. Per chi si è alzato la mattina dell’orale col nodo alla gola, non per l’esame, ma per una famiglia in crisi, una guerra interiore, un amore che finiva.
E questo editoriale è anche perché no? per chi quella notte la rimpiange. Per chi la rivivrebbe domani, pur di tornare a essere qualcuno che non sapeva ancora chi sarebbe diventato. Per chi ora lavora, corre, cresce figli, paga mutui e vorrebbe di nuovo una commissione davanti e la mamma fuori dalla scuola, col cornetto in mano e l’abbraccio pronto.
Sembra un sogno, eh? Eppure lo abbiamo vissuto davvero.
Certo, c’è anche chi quella notte vorrebbe dimenticarla per sempre. Chi non ne ha un bel ricordo. Perché la scuola non è sempre il “posto delle occasioni”, ma a volte è il teatro delle ferite. Ci sono stati esami con la paura addosso, bocciature alle spalle, docenti insopportabili e compagni peggio. Anche questo è vero.
Ma anche per voi vale questa riflessione: avete superato molto più di un tema di italiano. Siete sopravvissuti a voi stessi.
E adesso arriviamo al punto. Perché sì, caro maturando, cara maturanda, dopo questi esami… ce ne saranno altri.
No, non quelli dell’università.
Peggio.
Meglio.
Diversi.
Ci saranno i colloqui di lavoro in cui ti sembrerà di dover dimostrare tutto in 5 minuti.
Ci saranno decisioni difficili che non troverai nei manuali di diritto.
Ci saranno notti prima di un intervento, prima di una firma, prima di un parto, prima di una separazione, prima di un addio.
Esami che non si preparano con le dispense.
Prove che non hanno una commissione, ma un solo giudice: tu.
Con la tua coscienza, il tuo coraggio, la tua onestà.
“Gli esami non finiscono mai”, diceva Eduardo De Filippo, e chi lo ha ascoltato in quella sua opera a metà tra teatro e confessione sa che non era una battuta. Era una sentenza.
Eduardo non parlava solo degli esami scolastici, e nemmeno solo di quelli ufficiali. Parlava di una verità che, se ti entra dentro, non ti abbandona più: ogni stagione della vita ti mette alla prova, ti osserva, ti valuta. Non c’è tregua, non c’è promozione definitiva. Persino l’amore è un esame. La pazienza, la coerenza, la gentilezza: sono tutte materie difficili. E gli errori, nella vita, non si cancellano con la gomma.
Nella sua opera Gli esami non finiscono mai, il protagonista Guglielmo Speranza affronta una parabola esistenziale che parte proprio da un’aula scolastica, ma poi si espande: ogni tappa della vita lo mette di fronte a un nuovo giudizio. Prima la famiglia, poi il lavoro, poi la società e, infine se stesso. E ogni volta pensa: “Ecco, ora ho finito”. Ma no. C’è sempre un altro esame.
Il genio di Eduardo era racchiuso in quella capacità di mettere in scena l’anima della gente comune. Di trasformare le piccole storie in parabole universali. Perché dietro il teatro c’era sempre la vita, e dentro la vita sempre un palcoscenico su cui ci si giocava tutto, anche solo per essere capiti, ascoltati, amati.
E allora, tornando a voi, a voi che stanotte studierete, tremerete, sognerete, vi prego: godetevela.
È una notte piena di malinconia, sì, ma anche di bellezza.
È l’ultima sera in cui l’incertezza è dolce, in cui tutto è ancora possibile e niente è ancora successo.
Poi inizierà un’altra vita. E altri esami.
Ma stanotte, solo per stanotte, ricordate che siete ancora studenti.
Studenti veri, riconosciuti, protetti, dentro un rito collettivo.
Fuori, non vi chiameranno più così. Vi chiameranno stagisti, precari, disoccupati, adulti. Vi chiederanno scelte, responsabilità, sacrifici. Vi chiederanno, insomma, di essere maturi sul serio.
Ma stanotte no.
Stanotte siate ragazzi. Siate fragili, emozionati, imperfetti. Siate Eduardi inconsapevoli, che affrontano la vita pensando che basti superare un esame per essere liberi.
Perché non lo sapete ancora (e meno male) che la libertà vera inizia quando non ci sono più voti, ma resta la voglia di imparare.
E allora, che sia 60 o 100 e lode: godetevi l’interrogazione della vita.
Il resto, Eduardo ce lo ha già detto.
Non finirà mai.
E meno male.