Senza che me schiatt, ovvero filosofia da cartellone, sud e zanzare comprese
Senza che me schiatt
(Ovvero: filosofia da cartellone, sud e zanzare comprese)
In una delle strade principali che collega il mio paese con quello vicino che percorro ogni giorno, sempre con la testa piena di pensieri e le gambe in automatico. È una strada qualsiasi, di quelle importanti, dove magari ti capita anche di salutare amici e conoscenti , provi a scansare le buche a memoria (a memoria perchè sai che stanno lì e puntualmente ne prendi almeno una su 3) . Ma un giorno — uno qualunque — mi fermo per accompagnare mia figlia ed una sua amica a scuola, mi trovo davanti a un cartellone pubblicitario. E ci leggo:
“Senza che me schiatt, usa kimicat.”
La risata è immediata, istintiva, pulita. È la forza dell’ironia napoletana: ti arriva addosso senza preavviso e ti toglie il peso di dosso. Ma poi, quella frase mi resta. Mi cammina dentro. Perché ha un retrogusto di verità amara e tenera. Di filosofia spiccia, ma potentissima.
“Senza che me schiatt”.
Detto così sembra solo un modo simpatico per dire “proteggiti dalle zanzare”. E invece — a pensarci bene — è un imperativo esistenziale.
Una dichiarazione di intenti. Un monito universale per tutti noi che ogni giorno combattiamo con le nostre piccole zanzare personali. Che non sono solo insetti, no.
Sono i pensieri che ci ronzano in testa la notte.
Sono i “non ce la faccio” che ci pungono mentre fingiamo di essere forti.
Sono le bollette, i mal di schiena, i rimpianti, i lavori che non ci rappresentano.
Sono i ricordi che fanno prurito e le attese che non portano niente.
E allora sì, senza che me schiatt.
Senza che perda il sorriso per colpa di chi non lo merita.
Senza che cada per una puntura d’ego, d’ansia o di stanchezza.
Senza che molli tutto proprio adesso.
Perché vivere, dopotutto, è anche questo: resistere con ironia. Mettersi addosso un po’ di repellente fatto di leggerezza, amici veri, un buon libro, e magari un caffè con vista sulla vita. Fare il possibile per non lasciarsi abbattere, ma anche imparare a non combattere sempre. Accettare che certe punture lasciano il segno, ma non ci definiscono. E che si può guarire anche ridendo, anche dicendo: “Vabbè, stavolta ha punto, ma mo basta.”
Ogni estate porta con sé le sue zanzare, certo. Ma anche le sue notti lunghe, le sue stelle cadenti, le sue camminate a piedi scalzi.
E allora, in fondo, quella frase su un cartellone in periferia, con una grafica improbabile e uno slogan mezzo napoletano e mezzo marketing, dice molto più di quanto sembri.
Dice: resta, proteggeti, non ti lasciare andare.
Ma fallo con un sorriso, magari un po’ storto. Con quella forza fragile che ha chi ha imparato a non prendersi troppo sul serio.
Perché la vita — tra una zanzara e una carezza — va vissuta tutta.
Senza che me schiatt.
- Guardare la bellezza. E goderne, per davvero. - 28/06/2025
- Senza che me schiatt, ovvero filosofia da cartellone, sud e zanzare comprese - 11/06/2025
- Lasciate-li leggere - 25/05/2025