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Registro elettronico SI, Smartphone No. Come complicarsi la vita in 60 minuti

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Nel magico mondo della scuola italiana,  la tecnologia è amata, temuta e contraddetta con lo stesso ardore. Qui si pretende che l’insegnante sia insieme un docente, un amministratore, un esperto informatico e, all’occorrenza, anche un prestigiatore digitale. Soprattutto quando entra in aula con un’unica missione: usare il registro elettronico… senza usare dispositivi elettronici. Sì, avete capito bene. Nella nuova era scolastica 4.0, il registro elettronico è il totem sacro: segna presenze, contiene voti, diffonde circolari, raccoglie firme, trasmette compiti e — se lo guardi abbastanza intensamente — forse fa anche il caffè. 

Ogni insegnante è tenuto ad accedervi regolarmente, possibilmente ogni ora, possibilmente durante la lezione, possibilmente senza farlo notare. Peccato che l’accesso al sacro portale avvenga quasi sempre da… smartphone personale. Ma ecco il colpo di scena degno di una commedia degli equivoci: entra in vigore una norma che vieta categoricamente l’uso dei dispositivi elettronici in classe. Una misura pensata — giustamente — per contrastare la distrazione degli studenti, ma che di fatto trasforma ogni docente in un potenziale trasgressore. Il tutto mentre cerca solo di segnare l’assenza di G. o caricare i compiti di grammatica sul registro.

Il risultato? Insegnanti che si nascondono dietro la cattedra come hacker clandestini, sbloccando il telefono a tradimento per leggere una circolare sulle nuove modalità per leggere… le circolari. Colleghi che si giustificano dicendo “sto solo aggiornando il registro, giuro!”, come se stessero confessando un peccato mortale. Altri ancora che si rassegnano e aspettano la fine dell’ora per aggiornare tutto in massa, sperando che nel frattempo nessun alunno venga colto da una crisi esistenziale o da un’improvvisa amnesia da verifica. Siamo quindi di fronte a un paradosso che solo il sistema scolastico italiano poteva concepire: digitalizzare senza digitalizzare, informatizzare senza strumenti, innovare con divieti. Un po’ come chiedere a un chirurgo di operare senza bisturi, ma con entusiasmo. 

Forse un giorno arriverà il momento in cui la scuola deciderà di trattare gli insegnanti non come maghi del multitasking né come smanettoni abusivi, ma come professionisti da dotare di strumenti adeguati e regole sensate. Fino ad allora, continueremo a vivere questa schizofrenia normativa, tra un registro da aggiornare e un telefono da nascondere.

Con buona pace della coerenza. E della batteria al 2%.

Francesca Barnabà
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