Come messaggi effimeri di whatsapp
DAL VOCABOLARIO TRECCANI
effimero
effìmero (o efìmero) agg. [dal lat. tardo ephemĕrus, gr. ἐϕήμερος, comp. di ἐπί «sopra» e ἡμέρα «giorno»].2. Con uso sostantivato, l’effimero, ciò che è o si considera di breve durata, transitorio, perituro
Qualche giorno fa, mentre cancellavo per sbaglio una nota vocale importante, ho avuto un pensiero un po’ nostalgico e forse pure un po’ tragico (ma con una punta di ironia, giuro): non conserviamo più nulla che valga davvero. O, se lo facciamo, lo affidiamo a una memoria esterna—che sia un’app, un backup nel cloud o il telefono di qualcun altro—delegando a qualcosa di impersonale il compito di ricordare per noi.
Viviamo in un’epoca in cui anche i sentimenti hanno la scadenza di uno yogurt. Solo che almeno sullo yogurt c’è scritto “consumare entro”, mentre sulle emozioni no. Quelle, quando scadono, evaporano silenziose, senza neanche un cattivo odore che ci avverta del pericolo. Le relazioni, i pensieri belli, la ricerca della bellezza nelle cose e nelle persone: tutto tende a passare, svanire, autodistruggersi come un messaggio effimero di WhatsApp. Quelli che puoi leggere una volta sola, e poi puff, spariscono. E tu lì, a domandarti se avevi capito bene, se avevi letto tutto, se potevi riascoltarlo almeno una seconda volta. No. È sparito. Come certe occasioni nella vita.
Ironico, no? Abbiamo creato messaggi che si autodistruggono, come nelle missioni impossibili, ma poi pretendiamo relazioni durature, conversazioni autentiche, parole che restino. Ma se viviamo tutto con la stessa velocità con cui scorriamo una storia su Instagram, come possiamo poi lamentarci di non sentirci visti, capiti, trattenuti?
C’è un che di poetico e tragico in questa nostra modernità. Pensiamo di essere più leggeri, più liberi, più zen, perché eliminiamo il superfluo. Ma la verità è che stiamo eliminando anche l’essenziale. Abbiamo confuso il “non trattenere” con il “non curare”. Pensiamo che lasciare andare tutto ci salvi dalla fatica di conservare, ma dimentichiamo che conservare, in fondo, è un atto d’amore. È dire: questo momento vale, questa parola mi ha fatto bene, questa persona ha lasciato un’impronta che non voglio perdere.
Ma è scomodo conservare. Occupa spazio nella memoria del telefono, e anche in quella del cuore. E poi c’è quella dannata paura di sembrare deboli se ammettiamo che qualcosa o qualcuno ci è rimasto dentro. Meglio cancellare tutto, allora. Più semplice. Più moderno. Più efficiente.
Eppure, ci sono messaggi che vorremmo poter rivedere. Parole che avremmo voluto incidere da qualche parte, magari in un diario, su un post-it, sul frigorifero. “Ti voglio bene anche quando non ti capisco.” “Oggi mi sei mancato più del solito.” “Sei stato il mio pensiero leggero in un giorno pesante.” Ma quei messaggi, a volte, li lasciamo passare, certi che la persona dall’altra parte li abbia colti al volo. E se non l’ha fatto? Beh, troppo tardi: erano effimeri.
Conservare qualcosa, oggi, è diventato quasi un gesto rivoluzionario. Fare uno screenshot di una conversazione bella, stampare una foto, scrivere una lettera a mano, dire a voce alta che qualcosa ci ha toccato. Siamo talmente abituati alla provvisorietà che quando qualcuno ci dice: “Mi ricordo ancora quella volta in cui mi hai detto quella cosa”, restiamo spiazzati. Davvero? Ti sei ricordato? Davvero è rimasto?
C’è una fame di autenticità che brucia sotto la superficie dei nostri messaggi vocali, delle emoji e dei “visualizzato alle 21:03”. Una fame che non sazi con un cuoricino blu o un audio ascoltato al volo tra una notifica e l’altra. Una fame che chiede presenza, ascolto, tempo. Ma il tempo non lo diamo più, lo prendiamo. E quando finisce, non chiediamo più il bis. Ci limitiamo a dire: “Ah, peccato. Era bello.” Come se fosse normale che le cose belle durino così poco. Forse bisognerebbe tornare a trattare le relazioni come trattavamo le lettere d’amore: con cura, lentezza, attesa. Anche con un po’ di ansia, certo, ma con la consapevolezza che ogni parola messa nero su bianco aveva un peso, una responsabilità, una volontà di restare. Oggi invece ci basta tenere premuto e cliccare “Elimina per tutti”.
E allora mi chiedo: cosa resterà di noi, alla fine? Un backup nel cloud? Un ultimo accesso alle 3:42? Una chat svuotata e silenziosa, senza neanche un “buonanotte” lasciato lì a consolarci?
Forse sì. O forse no, se cominciamo a cambiare qualcosa. A salvare i messaggi belli. A rileggere le parole gentili. A rispondere con il cuore, anche se con un giorno di ritardo. A scrivere di più, a cancellare di meno. A lasciare tracce, non briciole.
Perché, in fondo, nessuno vuole essere un messaggio effimero nella vita di qualcuno. Vogliamo essere conservati. Custoditi. Ricordati.
E tu? A chi hai lasciato l’ultimo messaggio che meritava di essere salvato?
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