Un viaggio ai confini del mondo. La fotografia di Alessandro Grassani sull’emergenza climatica
Nei giorni scorsi ho visitato presso il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano la mostra fotografica “Alessandro Grassani. Emergenza climatica. Un viaggio ai confini del mondo”, a cura di Denis Curti.

Fino al 27 Aprile 2025 sarà possibile vedere i quaranta scatti fotografici di Alessandro Grassani – in cui il fotografo ha esplorato i confini del mondo, nei luoghi in cui il cambiamento climatico costringe la popolazione a vivere nella paura e negli stenti. Il lavoro compiuto dal fotografo è una testimonianza delle migrazioni dovute al cambiamento climatico, che hanno assunto proporzioni allarmanti.
Grassani racconta questo fenomeno in 4 capitoli: Mongolia, Bangladesh, Kenya ed Haiti – narrando con le immagini le drammatiche storie di coloro i quali sono costretti ad abbandonare la propria terra a causa dell’emergenza climatica. Le foto proposte sono una prova tangibile e reale della gravità dell’attuale situazione – dal freddo alla siccità estrema, dalle inondazioni alla desertificazione.

Con le sue emozionanti immagini Grassani ci spiega che pastori, agricoltori e pescatori – dalla Mongolia al Kenya, dal Bangladesh ad Haiti – hanno deciso di mettersi in viaggio, senza garanzie e tutele, alla ricerca di territori ed un futuro migliore.Le loro storie, raccontate visivamente da Grassani, spingono ad aprire gli occhi di fronte a fatti troppo spesso dimenticati, e soprattutto richiamano il senso di responsabilità di ciascuno di noi, chiedendoci di non restare indifferenti.
Si tratta di immagini emotivamente molto forti e di grande impatto; la mostra “divisa” in quattro capitoli (Mongolia, Bangladesh, Kenya, Haiti) si focalizza sul drammatico tema della migrazione climatica – che in tutto il pianeta costringe uomini e donne ad abbandonare il proprio stile di vita per un futuro incerto spostandosi nelle città. In un pianeta sempre più urbanizzato, i cambiamenti climatici cancellano terre fertili, sommergono villaggi e spezzano legami antichi, riscrivendo il destino di intere comunità.
Dall’estremo freddo della Mongolia alla siccità in Kenya, fino alle inondazioni ed all’innalzamento del livello del mare in Bangladesh ed Haiti, il fotografo evoca visivamente un futuro prossimo in cui l’umanità lotta per trovare un luogo dove sopravvivere agli effetti del riscaldamento globale, rappresentando in modo diretto ed empatico le sorti delle persone coinvolte.

Protagonisti degli scatti sono pastori, agricoltori e pescatori che appaiono stremati dalle avversità ambientali, costretti a cambiare il proprio stile di vita, spesso tramandato da generazioni, e a trasferirsi nelle città in cerca di mezzi di sussistenza alternativi – ma si tratta di destinazioni che spesso deludono le loro aspettative a causa della mancanza di risorse, competenze ed opportunità di lavoro.
Ho parlato del forte impatto emotivo generato in me dagli scatti di Grassani: l’intenzione dell’autore (che riesce in pieno a trasmettere il suo messaggio) è di dar voce a coloro i quali per lo più soffrono nell’indifferenza generale – quella stessa superficialità e poca voglia di andare a fondo al problema che troppo spesso riguarda il fenomeno del cambiamento climatico. Grassani riesce a mio avviso a stimolare attraverso l’arte della fotografia la conoscenza di una delle più grandi minacce globali contemporanee, e la partecipazione attiva nel contrastarla.

Sono stata profondamente toccata da queste meravigliose ed al contempo crudissime immagini – e la sensazione maggiormente provata è lo sgomento. Ci sono ingrandimenti di baraccopoli letteralmente infinite, e periferie cittadine poverissime e degradate; poi deserti la cui siccità impone una riflessione sugli stili di vita occidentali e dei Paesi ricchi in generale. Ed infine inondazioni e occhi pieni di sofferenza – come ad esempio nella foto di quel padre con i due figli in piedi sulla soglia di casa, mentre l’acqua alta dovuta alle inondazioni invade i gradini di ingresso.
Papa Francesco nella lettera enciclica “Laudatosi’” del 2015 ha scritto che “Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti”, già 10 anni fa denunciando una generale indifferenza di fronte a tragedie come quelle raccontate nelle fotografie di Grassani. E Denis Curti, curatore della mostra, scrive in una recente intervista relativa agli scatti di Grassani: “L’emergenza climatica vive dentro e fuori ognuno di noi”.
Fra le “storie” che Grassani racconta con il suo potente mezzo, per esempio, c’è quella di Erdene Tuya, 29 anni, mongola – la cui famiglia negli ultimi anni ha perso gran parte dei capi di allevamento a causa del freddo rigido (-50°), immortalando le carcasse degli animali e il contesto di stenti in cui sopravvivono i pastori, alla ricerca dei mezzi per potersi muovere al più presto verso climi più miti.
Una situazione antitetica è invece quella del Kenya, dove secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre IDMC www.internal-displacement.org (l’organizzazione internazionale non governativa fondata nel 1998 dal Consiglio Norvegese per i Rifugiati, il cui obiettivo è monitorare, fornire informazioni e analisi sugli sfollati nel mondo) tra il 2008 e il 2022 sono stati circa 1,7 milioni gli sfollati interni al Paese, in fuga da quell’80% di territorio keniota classificato come arido o semi-arido. Tra loro Rose Juma, 34 anni, che con il marito ha lasciato il villaggio di Amagoru per sottrarsi alle sempre più sanguinose dispute tribali per il controllo dell’acqua e delle terre fertili.
Ad Haiti, la popolazione è invece afflitta da uragani sempre più frequenti, così come dalle piogge devastanti e dalle conseguenti inondazioni che l’assenza di alberi, dovuta ad un’incessante deforestazione, ha reso ancora più pericolose.
Nadie Preval, 28 anni, che Grassani ha ritratto nella baracca dove vive in miseria con la figlia e il marito a Port-au-Prince, è il memento di quanto sta lì accadendo. Lei e la sua famiglia di ex contadini hanno dovuto vendere per pochi spiccioli il terreno che possedevano nella campagna haitiana, ormai non più produttivo a causa delle condizioni climatiche avverse.
Ed infine il capitolo della mostra fotografica dedicata al Bangladesh, ove la situazione ahimè non è migliore: ogni anno oltre 300 mila persone sono in fuga dalle campagne, inondate e colpite dall’innalzamento del livello del mare e dalla salinizzazione, in direzione di Dhaka – capitale del Paese, tra le città in più rapida crescita al mondo con una popolazione attuale di circa 20 milioni di abitanti.
Sovrappopolamento, povertà ed un’irreale compenetrazione tra natura e città emergono dagli scatti straordinari del fotografo.
Per ulteriori informazioni su questa straordinaria ed importante mostra, nonchè orari di accesso e biglietteria, è possibile collegarsi al sito https://chiostrisanteustorgio.it/mostra/alessandro-grassani-emergenza-climatica-un-viaggio-ai-confini-del-mondo/
Segnalo che la mostra è realizzata con il sostegno della Fondazione Grana Padano.
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