JeordieIn evidenza Interviste 

Intervista a Jeordie, dopo l’epilessia è nato il pezzo 20:00

Sharing is caring!

Jeordie, della classe 2000, è un giovane artista di Sant’Arsenio (Salerno). Attivo dal 2019, fonde il rap con l’R&B e l’Indie creando una sperimentazione moderna e in linea con l’Urban Music in voga oggi.  20:00 è il primo singolo che l’artista pubblica con l’etichetta. Prodotto da Uanmness e accompagnato da un video girato da Luigi Cartolano , è disponibile in tutti gli store digitali. In questa intervista ci racconta come è nato il brano, della sua malattia, di come ha reagito e del perché le otto di sera sono un orario importante per lui.

Quando ti sei avvicinato al Rap? E come lo hai iniziato a fondere con R&B e Indie?

Ho scoperto il Rap intorno ai 15 anni, mi ha immediatamente catturato. Mi affascinava il poter raccontare storie e chiudere tantissimi pensieri e parole in pochi minuti, che penso sia una peculiarità del genere. Ho sempre amato le parole e il loro utilizzo e il Rap era il genere che meglio ne faceva uso. L’unione con l’Indie e l’R&B è stata naturale, ho sempre ascoltato tantissima musica diversa, penso che inconsciamente e involontariamente abbia mescolato i diversi suoni, poi sono uno che odia la monotonia, specialmente se si tratta di musica. Non farei mai un pezzo che ho già fatto e Rap e Indie o R&B insieme danno la possibilità di spaziare tantissimo.

Mi dici qualcosa in più sul tuo background musicale?

Ho sempre ascoltato tantissima musica diversa. Mio padre è un grande amante della musica, da quella classica a, naturalmente, il Rock dei ‘60/’70. In macchina con lui ascoltavo moltissimo Rock, dai Genesis, ai Pink Floyd, i Deep Purple, i Depeche Mode e il gruppo che più mi ha segnato, i Dire Straits. E’ grazie al chitarrista di questo gruppo che ho preso per la prima volta in mano la chitarra, anche se non sono mai diventato un professionista. Sono stato abituato ai suoni più digitali sposati ai primi sintetizzatori, di conseguenza non mi sono mai precluso nessun tipo di musica, anzi, più erano mescolate più mi piacevano. Crescendo ho sviluppato un interesse viscerale per le parole, per cui avevo necessità di avvicinarmi alla musica italiana. Così ho conosciuto i grandi cantautori come De Andrè, Guccini, Bennato, Dalla. Le emozioni che mi lasciavano quelle storie mi hanno aperto gli occhi e ho continuato a scoprire i più giovani a quel tempo come De Silvestri o Niccolò Fabi. Ho avuto la mia fase Pop in cui ascoltavo tutto ciò che passava per radio fin poi ad arrivare appunto al Rap. Insomma ho avuto contaminazioni multiple, che penso poi abbiano formato il mio “lato artistico”. Ho iniziato a scrivere i primi pezzi con la chitarra, essendo incapace nel produrre e non conoscendo nessuno che potesse farlo, quattro accordi in loop, che dovevano solo essere il letto per le parole. Col tempo ho conosciuto Uanmness e da lì ho iniziato ad affinare la mia scrittura, ma anche a sperimentare su produzioni sempre diverse.

Come mai il nome Jeordie?

E’ una storia lunga e divertente. Il nome nasce tanti anni fa, prima che iniziassi a fare musica. Mi serviva un nickname dato che io ed un mio amico avevamo aperto un canale su YouTube di gameplay. Così, pensando ad una nostra amica del tempo, è uscito questo nome (che rifà al suo cognome), non aveva un perché, ma mi piaceva. Col tempo il nome mi è restato addosso così l’ho mantenuto quando ho iniziato a fare musica. Un giorno però, in pullman, mi sono chiesto effettivamente quale senso avesse il mio nome, e mi sono reso conto che per un caso fortuito è composto da tre parole: Je or die. Mezzo francese, mezzo inglese, traducendolo si arriva a “Me o morire”, stranamente è uno dei punti cardine della mia visione, non scendere a compromessi e restare me stesso sempre, a scapito delle conoscenze, della fortuna e quant’altro.

20.00 è il titolo del tuo nuovo video. Come mai questo titolo?

20:00 indica un orario che da quattro anni a questa parte mi accompagna quotidianamente. Proprio quattro anni fa mi è stata diagnostica una forma lieve di epilessia, che mi “costringe” a prendere delle compresse tutti i giorni alle 8 e, appunto, alle 20:00. Ad oggi la vivo con estrema tranquillità ma ai tempi preoccupò non solo me. Il pezzo è stato scritto dopo aver ampiamente metabolizzato la questione, infatti è tutt’altro che un pezzo triste.

Cosa sentivi di inabilitante all’inizio? Cosa non ti faceva stare bene?

A livello fisico le compresse inizialmente sono state una bella botta, ero costantemente pieno di sonno ma comunque dormivo poco per l’irrequietezza, ancora oggi sono sempre stanco, studiare e restare sveglio non è facile, ma la volontà c’è, quindi si fa. A livello psicologico c’è voluto un po’ di tempo per accettare la questione e ho iniziato a pensare di non poter fare più nulla, uscire con gli amici, bere, fumare, qualsiasi cosa, mi sbagliavo di grosso. Ho iniziato quindi a chiudermi e precludermi molte cose che in realtà col senno di poi mi hanno solo aiutato a conoscermi meglio, se prima ero sempre distratto da mille cose ora so di per certo che le uniche cose su cui concentrarmi sono la musica e l’università. Così quando esco apprezzo molto di più quella birra o quella sigaretta.

Cosa ti senti di dire ai ragazzi che come te combattono fra la quotidianità e una malattia?

Parto col dire, perché ci tengo, che ad oggi l’epilessia non è una malattia e, specialmente nel mio caso, si ci può convivere tranquillamente, quindi non so se posso mettermi nei panni di chi soffre di qualcosa di grave. Posso sicuramente sapere che si ci sente quando per la prima ti dicono che qualcosa in te non va, conosco quella paura, ma anche quella rabbia. Nel mio caso la musica è stata una salvezza, tutto ciò che avevo da dire potevo dirlo a me stesso, è stato un modo per superare ed accettare la situazione. Mi sento quindi di dire che non bisogna discernere la quotidianità dal problema, anzi, farlo diventare parte della quotidianità. Chiudersi è un solo un modo per amplificare il dolore, continuare a vivere è la chiave per combatterlo. Certo potranno esserci limitazioni, all’inizio sarà difficile, ma col tempo sicuramente si impara ad apprezzare le più piccole cose. Ad esempio io uscivo sempre, non ero praticamente mai a casa, adesso l’esatto opposto anche per abitudini che ho preso per via di questa situazione, ma adesso quando esco apprezzo molto di più quella birra fatta in compagnia, come dico anche nel pezzo. Il segreto è far diventare un problema un punto di forza, la chiave per aprire altre porte.

Mi dici qualcosa del video?

Geniale. Lo scheletro è stato ideato da Luigi Cartolano, è un viaggio attraverso gli strati di una matrioska, volendo riprendere la copertina del pezzo. Traspare l’inadeguatezza nel trovarmi in certe situazioni, o l’inadeguatezza che IO trovo in certe situazioni che in realtà sono normalissime. Penso che Luigi abbia compreso a pieno il senso del pezzo, così come questo infatti il video ha toni quasi nostalgici, tristi, ma è nell’ultimissima scena che tutto trova un perché, io vado via, quasi incurante ormai di ciò che nasconde quella coppetta, e questa è l’accettazione, nonostante il “problema” in realtà resta lì, ma ormai l’ho fatto mio, fa parte di me e non mi tormenta più. I personaggi sono portati all’estremo, l’estremo della bellezza e della goffaggine, io sono esattamente nel mezzo, per ricordarmi che potrò essere anche la persona più normale del mondo e sentirmi comunque fuori posto. Viene marcata quest’idea di loop, di qualcosa che si ripete, ma è sempre diverso, come la mia visione nei confronti di questa situazione, che negli anni è mutata e probabilmente muterà ancora. Racchiude perfettamente cosa volevo trasmettere, e questa è la cosa più importante.

Come ti sei messo in contatto con la 33db Good Noise?

Conoscevo già da qualche anno Uanmness, quindi in realtà è stato tutto molto semplice. Mi ha proposto di far parte di questo nuovo progetto e naturalmente la riposta è stata sì. Non c’è nulla di diverso, lavoriamo insieme da tempo, e facciamo che amiamo fare, quindi è stata una transizione molto naturale. Ho conosciuto poi tutti gli altri, Feeda, Luigi Cartolano, con cui la sintonia è stata quasi immediata. Oltre Uanmness conoscevo già Totino e Paolo quindi il progetto ha solo allargato la famiglia.

Stai preparando anche un disco?

Non saprei rispondere. Ho abbastanza pezzi da parte da poterne fare uno, forse mi manca la sicurezza nel volerlo fare. Tengo tanto alla mia musica e voglio che tutto sia come lo immagino, chiudere un tot di pezzi in un progetto più grande senza nulla che li unisca non è ciò che immagino, anche se tutti i pezzi che ho attualmente il collegamento ce l’hanno, quindi chissà.

Dove ti vedi fra 10 anni?

Spero laureato. A parte gli scherzi, mi vedo a fare musica, che sia in questo contesto o in un altro farà sicuramente sempre parte della mia vita. In realtà spero di vedermi non troppo cambiato da come sono adesso, certo qualche angolo smussato non farebbe male, ma sono contento dell’evoluzione che ho avuto e delle persone che ho conosciuto, ecco vedo anche loro nel mio futuro. Mi vedo in una casa modesta, con un cane, la mia compagna, un home studio, e le stesse identiche persone che mi gravitano intorno adesso.

https://www.instagram.com/jeor.die/

Sharing is caring!

Related posts

Leave a Comment