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“Tutte le favole cominciano dai boschi …”. Intervista ai Seconda Marea

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“Tutte le favole cominciano dai boschi…”

Così si apre la nona traccia dell’album “SLOW”, intitolata “Sangue di legno”, che è al contempo la prima ad esser stata partorita da Andrea Biscaro, scrittore e cantautore, e Ilaria Becchino, cantante e compositrice; i Secondamarea sono un duo nell’arte così come nella vita, le cui esperienze si sono intrecciate e semplificate in quello che è oggi il loro cammino verso la musica e le arti tutte.

Il loro nuovo progetto musicale è intriso d’originalità e sincera passione, un vero e proprio concept-album che appare come una sfida alla monotonia tematica della scena musicale contemporanea: tra struggenti ballate, allegre sinfonie e incalzanti ritmi melodici si riscoprono le piccole cose della vita, il piacere dettato dal contatto con la natura, la riflessione sul nostro personale rapporto con essa.

L’album, prodotto da Paolo Iafelice, contiene 12 brani inediti dal taglio pop-folk scritti dagli stessi Secondamarea, con la partecipazione di musicisti di gran rilievo.

“SLOW” verrà presentato live il 29 luglio presso l’Anfiteatro San Costanzo, a Sanremo, nel cuore della Pigna. Il duo sarà Special Guest del TENCO ASCOLTA, un’iniziativa del Club Tenco nata nel 2008 col proposito di portare in giro per l’Italia i nuovi talenti del cantautorato italiano che più di altri hanno saputo catturare l’interesse del pubblico e l’attenzione del format, che in quanto tale non prevede un vincitore, ma apre le porte a molte altre rassegne e iniziative.

Possiamo dire che un’esperienza del genere, basata sul confronto e sulla capacità di mettersi in gioco, si avvicina molto al vostro modo di concepire la musica, in quanto mero atto di condivisione?

Assolutamente sì! Si tratta di un’occasione importante di confronto, una vetrina in cui far dialogare linguaggi diversi. La musica ha bisogno di questo per poter crescere, evolversi.

Prima di parlare di “SLOW”, sappiamo che tra i tanti riconoscimenti ricevuti vi è stata un’esperienza che ricordate con maggior trasporto, ovvero il MUENCHEN FESTIVAL a Monaco, dove vi siete esibiti in rappresentanza della musica italiana all’estero: che emozioni vi evoca tale ricordo?

Buone vibrazioni, anche adesso, a distanza di tanti anni. Si è trattata di una grande esperienza, edificante sia dal punto di vista artistico, sia umano. Tra l’altro ci fa sempre sbocciare una riflessione: in Italia si tende a dare tutto per scontato, soprattutto se si parla di musica, poesia, letteratura. All’estero, no. Un artista in Italia è uno tra i tanti. All’estero, uno tra i pochi.
In Italia un musicista è visto con sospetto. All’estero, con rispetto.
In sostanza, fare oggi musica in Italia significa resistere. Esageriamo, ovviamente. Ma lo facciamo per affermare che il paese storicamente più artistico d’Italia, oggi sembra avere perso la memoria.
Noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di fargliela ritrovare!

Qual è la location più suggestiva dove vi siete esibiti finora? O quale vi ha più ispirato, fatto sentire “a casa”?

Ci piace ricordare sempre la prima data del nostro AGRITOUR di giugno, a Monterosso, in Liguria. Premettiamo che siamo abituati a percorrere vie accidentate, in forte pendenza, ma la strada che ci stava conducendo a “Il Brucaolivo” (l’Agriturismo dove avremmo suonato) era davvero particolare! Una sorta di strapiombo a serpentina per arrivare in una vallata mozzafiato.

L’ultimo tratto per raggiungere l’Agriturismo l’abbiamo fatto a piedi, chitarra in spalla. Ci domandavamo chi potesse raggiungere un luogo tanto impervio, difficile. Ci domandavamo se la nostra idea di Agritour non si rivelasse alla fine un buco dell’acqua. Ogni domanda fu fugata al nostro arrivo: ci accolse una sorta di paradiso terrestre incastonato nel verde e nelle acque, già popolato di persone, quiete e assorte, in attesa di musica e buon cibo. La coppia che gestisce l’Agriturismo, due giovani “resistenti” armati solo di fantasia, ingegno e buone aspettative, ci hanno spalancato le porte della loro casa-isola. È stata una serata magica, simbolica. L’Agritour partiva nel modo più poetico possibile. In mezzo a una natura forte, selvaggia, ad un silenzio profondissimo, alla compagnia di persone speciali e ad un pubblico attento, curioso, gioioso.

Le tracce dell’album esplorano l’io in chiave naturalistica, tra boschi, paludi e orti. Esse rispolverano la capacità dell’uomo di osservare ciò che lo circonda e avvertirne suoni e profumi, in un profondo inno alla vita vissuta “lentamente” (da qui il titolo dell’album).

Considerato che è stato piuttosto semplice per voi concepire quest’album, data la fortissima impronta personale di cui è gravido, siete stati maggiormente stimolati dagli effetti della natura sull’uomo o piuttosto dall’uomo e i suoi tentativi di forgiare quest’ultima?

Da entrambi, nella stessa misura. In fondo, sono le due facce della stessa medaglia.

La produzione e gli arrangiamenti di Iafelice sono stati fondamentali per la piena riuscita del progetto così come lo sognavate; com’è nata la vostra collaborazione e quando avete capito d’aver trovato la persona giusta a cui affidare le vostre idee?

Pur essendo “Slow” il nostro disco più pop, abbiamo tenuto fede al nostro amore per il suono acustico, “organico”. Che poi, crediamo, sia l’unico vero modo di fare musica! L’incontro con Paolo è avvenuto spontaneamente. Ci siamo scritti, ci siamo piaciuti. Si è creato subito un feeling particolare. Paolo ha scelto i musicisti adatti al nostro sound. La sua esperienza, la sua fantasia e il suo talento si sono sposati così bene con la nostra musica da diventare una cosa sola. Un incontro straordinario, decisivo.
Il disco vanta la partecipazione di musicisti eccezionali. Citiamo, sopra tutte, quella di Leziero Rescigno, grande batterista e polistrumentista, dotato di una sensibilità non comune.

Date le ambientazioni suggestive, i dettagli e le sensazioni che cantate, si può dire che il vostro cantare è un po’ un … sognare?

Assolutamente sì! Tra l’altro, spesso, le ispirazioni di molte canzoni nascono da visioni, da sogni ad occhi aperti. Non ci interessano soltanto le cose. A volte lo spettro delle cose è ancora più interessante.

Fondamentale è la competenza di questi due artisti non solo in ambito musicale, ma anche letterario. Hanno infatti pubblicato Chimera con i versi del poeta Dino Campana, l’album-libro
Canzoni a carburo con la prefazione di Alda Merini, l’album-libro illustrato Ballate della notte scura scritto su testi di Tiziano Sclavi, celebre creatore di Dylan Dog. Essa si riversa nella sintassi delle canzoni, nello stile semplice ed essenziale, ma mai scarno o privo di sottile retorica e giochi di parole.Stilisticamente parlando è chiaro che puntate alla massima comprensione dei vostri testi. Dunque a livello letterario, strutturale e stilistico, puntate più alla “leggerezza” calviniana o giocate maggiormente con l’“ironia” pirandelliana?

Alla leggerezza calviniana, senza dubbio. Quella levità che permette di toccare temi importanti, ingombranti e, spesso, faticosi. La forma-canzone offre la possibilità straordinaria di pensare e riflettere, divertendosi. Il 28 luglio riparte da Santo Stefano D’Aveto (GE) l’Agritour dei Secondamarea. Il tour è un progetto unico e molto suggestivo che presenteranno in duo (chitarra e voce). L’idea è proprio quella di riportare la musica alla sua naturale essenza e lasciare che essa diventi uno stimolo sensoriale accanto agli altri, visivi, olfattivi e gustativi.

Nel linguaggio teatrale si parla spesso di “rottura” della quarta parete; è un po’ quello che cercate di fare con l’Agritour, eliminando le distanze e dando vita ad uno spettacolo di soggettività?

Sì, esattamente. L’idea è proprio quella teatrale di abbattimento della quarta parete, che è poi una parete soprattutto psicologica, non solo fisica. C’è un naturale timore di stare troppo vicini all’artista durante un’esibizione, uno spettacolo. Un pregiudizio che l’Agritour sta cercando di sradicare. Gli spettacoli che presentiamo assomigliano a dei concerti intorno al fuoco.

Un’ultima domanda sorge spontanea, prima di augurarvi un florido proseguo: la vostra forte unione nell’ambito quotidiano è un aspetto pregnante della vostra collaborazione, potreste dunque fornirci qualche esempio del vostro vivere “slowly”? In che modo, per citare un vostro pezzo, vi lasciate alle spalle grattacieli e grattacapi?

Il nostro vivere “slowly” che dici nasce da una cura e da un rispetto istintivo che abbiamo da sempre. In sostanza, pratichiamo la filosofia del “non fare”, cerchiamo di avere il minor impatto possibile sull’ambiente, ci adoperiamo perché le cose che ci circondano rimangano il più possibile uguali a se stesse. Non agiamo sulla natura, ma piuttosto ci facciamo agire. In sostanza, se abbiamo un albero in giardino, cerchiamo di lasciarlo libero di crescere secondo la sua volontà, evitando potature insensate e stupidi propositi di contenimento. Se vogliamo abitare una casa antica, conserviamo i mobili d’epoca preesistenti, condividendo uno spazio che non è neutro, ma sedimento antropologico. Se desideriamo bere una buona acqua, evitiamo di acquistarla in negozio: da quindici anni ci riforniamo direttamente dalla magnifica sorgente della nostra isola.

Il verso di una nostra canzone canta: “… il buono non è nel nuovo, ma nell’antico da ritrovare”. Questo non significa evitare la modernità, ma viverla piuttosto in maniera critica, consapevoli del fatto che le risorse del pianeta sono a termine e che il tempo e la bellezza sono gli unici tesori che possediamo. Abbiamo bisogno di luoghi franchi, incolti, selvatici, in cui l’uomo possa ritrovare la sua vera essenza. E abbiamo bisogno di tempo, qualitativamente parlando. sua vera essenza. E abbiamo bisogno di tempo, qualitativamente parlando.

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